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Come già nei capitoli precedenti della saga, punto di forza di questo film è la caratterizzazione dei personaggi, primo fra tutti quello di Hae-ju che, anche da magra, non cessa di essere la ragazza strana e inquietante che tutti scansano e di cui tutti impietosamente prendono in giro le manie e i comportamenti, dal collezionare oggetti appartenuti alla defunta So-hee alla voracità nel mangiare. Hae-ju, che ha chiesto di diventare magra, diventa bulimica e il suo desiderio di normalità ben presto affonda, vomitato assieme ai resti del pasto appena consumato. La bellezza non le porta la popolarità e la ragazza continuerà a trascorrere solitari pomeriggi nel seminterrato della scuola. Anche un personaggio di contorno come Han Yoon-ji, una scultrice in erba che perseguita Hae-ju, viene tratteggiata efficacemente in poche scene. Per lei non ci sarà nessuna scalinata e nessun ingannevole spirito-volpe, ma anche a lei il destino riserverà una sorte infausta, la ragazza diverrà infatti, in carne e ossa, l'opera d'arte perfetta, a tal punto realistica da strappare al suo professore d'arte il tanto agognato complimento “sei la migliore”.
Il messaggio, insomma, è ben chiaro, e cioè che è bene stare sempre attenti a cosa si desidera, perché quando il desiderio si avvera non è detto che lo faccia nel modo che avevamo immaginato. È un po' lo stesso assunto su cui si fonda “Wishmaster”, capostipite (nel 1997) dell'omonima saga di film che ad oggi conta tre sequel. Ma perché parlavo di incursione nel folclore? Perché sebbene una leggenda legata a una “scalinata magica” non esista nel folclore coreano, o almeno credo, in esso esiste però uno spirito-volpe mutaforma che si chiama Kumiho o Gumiho (letteralmente, volpe a nove code). La rassomiglianza con le analoghe figure del mito cinese (Huli jing) e giapponese (Kitsune) è evidente, ma mentre queste non sono necessariamente malvagie, la Kumiho ha connotazioni prevalentemente maligne e la maggior parte delle leggende la vede intenta a cibarsi di cuori o fegati umani, anche profanando le tombe per procacciarseli, o le attribuisce tendenze vampiriche, anche se non mancano quelle in cui le Kumiho cercano di diventare umane (il film “Gumiho” del 1994 racconta appunto una vicenda di questo tipo). Vien da chiedersi come persone che conoscono la natura della Kumiho e sono avvezze al concetto di karma possano credere alla favoletta della “fatina del desideri”, ma vabbè….
Comunque, in “Wishing stairs” trovano ampio spazio sentimenti contrastanti come amore, gelosia, tradimento, e si sviscera la complessità di relazioni umane che non sono quasi mai paritarie, ma si basano su un elemento dominante (qui rappresentato da Jin-sung, che per l'amica prova un affetto molto distaccato e velato di invidia) e uno più debole (So-hee, che non cessa di voler bene all'amica e di cercarla neanche quando questa palesa i suoi veri sentimenti). Se nel precedente capitolo l’omosessualità era esplicita, qui vi è al contrario solo un’insinuazione sottile (o almeno così può venir percepita da un osservatore occidentale): se So-hee è lesbica, allora Jin-Sung ne rappresenta il desiderio inespresso e, a sua volta, Hae-Ju completa il triangolo adorando So-hee, quasi come fossimo catapultati dentro un disegno di M.C. Escher. Leggendo tra le righe si capisce che, ancora una volta, l'origine della rivalità latente è sempre da ricercarsi in un ambiente che stimola la competizione ai massimi livelli.
Il ruolo del sovrannaturale nello svolgersi dei fatti resta piuttosto ambiguo, perché se è vero che il solito fantasma dai lunghi capelli corvini fa la sua apparizione sullo schermo, si potrebbe credere che sia la cattiva coscienza di Jin-sung a dargli forma, mentre Hae-ju ha evidentemente una personalità disturbata e che la sua possessione da parte dello spirito di So-hee sia un fatto reale non è per nulla scontato. Personalmente sono convinto che lo spettro abbia un ruolo attivo nella storia, ma il solo fatto che la sceneggiatura riesca a insinuare il dubbio toglie al film un po' del suo sapore di dejà-vu. Dal punto di vista estetico il film sfrutta molto bene gli spazi, e finalmente la profusione di lunghi corridoi (della scuola, dell'annesso dormitorio e dei sotterranei) deserti e poco illuminati rende giustizia al titolo del franchise. Il resto è un repertorio di effetti già visti mille volte, ma sempre maledettamente efficaci, con la tensione che sale gradatamente per raggiungere il climax solo nella seconda metà del film, dove le atmosfere si fanno decisamente cupe ed inquietanti. Resta tuttavia una vaga sensazione di occasione mancata al termine di “Wishing stairs”: la sua debolezza è forse dal ricercarsi nella sovrabbondanza di trame e sottotrame che, a lungo andare, sottraggono efficacia alla visione d’insieme. Quello che più è strano è che, nei miei ricordi (vidi questo film per la prima volta molti anni fa), “Wishing stairs” appariva il capitolo più interessante dell’intera serie. Oggi, rivedendo in rapida sequenza tutte e cinque le pellicole, la penso in maniera diametralmente opposta.
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