Capitolo 4

Da Milu
Quella notte sognai quel ragazzo. Fu strano scoprire, al risveglio, che nel sogno mi aveva protetto da un pericolo. Lui non era il cattivo, ma il supereroe. Inspiegabilmente, questo sogno mi rassicurò e mi diede pace. La sveglia suonò alle sei e mezza. Scattai dal letto, stranamente, e mi ritrovai lavata e vestita in un lampo. Mia madre rimase sconvolta nel vedermi già pronta -con i capelli sciolti e ben aggiustati- quando mi presentai in cucina per fare colazione. La mia tazza di latte e i cornflakes erano sul tavolo. Mangiai lentamente e solo dopo un po’, mi resi conto di aver avuto per tutto il tempo, lo sguardo fisso su un punto della tovaglia. Scossi la testa come per svegliarmi dall’ipnosi e mia madre mi guardò di sottecchi per cercare di capire cosa avessi. Lei la mattina era di poche parole e perciò non mi disse niente. Ma io per non farla preoccupare le feci uno dei miei sorrisi tranquillizzanti. Mi alzai da tavola, diedi un bacio a mia madre e mi misi la giacca di jeans. Presi la borsa e andai a salutare mio padre che mi aspettava in salotto al computer. <<Buona giornata stellina!>> e mi diede un bacio sulla fronte.Arrivai a scuola in mezzora di autobus. Davanti al cancello d’entrata l’ansia salì alle stelle. Sentivo scosse elettriche lungo la schiena. Feci il pieno d’aria e mi avviai dentro. Martina era appoggiata al muro a leggere, ma appena mi vide mi venne in contro. Mi stava aspettando. <<Buongiorno Cristina, c-come va?>> mi disse vergognosa. <<Tutto ok. È già pieno oggi eh?>> risposi guardandomi intorno. Ma in realtà cercavo di scovare il ragazzo del mistero. <<Già. Molti ieri non sono venuti. Il primo giorno di scuola lo saltano in parecchi perché dicono che si perde solo tempo>>. Pensai che non avevo mai sentito tante parole in una sola volta da lei, e fui felice perché significava che pian piano la mettevo a suo agio. Entrammo in classe e posai la borsa sulla sedia. Quegli scansafatiche non erano ancora arrivati, per fortuna. Dissi a Martina che sarei andata in bagno e lei si sedette al banco ad aspettarmi. Come girai l’angolo del corridoio mi misi in cerca di quegli occhi scuri. Non c’era nessuno che gli assomigliasse. Uscii di nuovo nel   cortile. Dopo un po’, notai un ragazzo appoggiato ad un albero, di spalle. Sembrava proprio lui dalla corporatura. Respirai a fondo per non andare in iperventilazione. Mi avvicinai da felina e gli misi una mano sulla spalla. Lui si irrigidì, come se avesse capito chi ero. Si girò di colpo, mi guardò negli occhi e impallidì fino al punto da sembrare un fantasma. Io non avevo pensato a cosa avrei dovuto dirgli, e sul momento rimasi impietrita, forse più pallida di lui, per l’effetto che i suoi occhi così profondi avevano sulla mia anima.Ad un tratto lui scappò dalla mia presa e si diresse verso il cancello. <<Aspetta ti prego! Non puoi scappare sempre.>> urlai sorprendendomi del volume della mia stessa voce. Lui si bloccò e rilassò quelle incredibili spalle come se si fosse arreso alla fuga. Probabilmente aveva sospirato. Si girò verso di me, ma con lo sguardo basso. La sua maglietta nera fasciava il suo torace perfetto e scolpito, tanto da sembrare una statua di marmo. Mi avvicinai piano. <<Ciao. È un po’ che ti cerco. Tu, invece, mi hai t- trovata da un bel po’, vero?>>. Aspettavo la risposta, ma se non altro per sentire la sua voce. Un ragazzo con quegli occhi non poteva che avere una voce calda e profonda.Lui alzò gli occhi e mi guardò. Il mio cuore per poco non si fermò e credo che se ne accorse anche lui, perché fece un sorriso impercettibile. Il suo viso era raggiante e bellissimo. La sua pelle chiara e perfetta faceva risaltare i suoi occhi scuri. I suoi capelli nerissimi erano lisci e un po’ disordinati dal tocco del vento. Ad un tratto, mi arrivò una ventata del suo profumo irresistibile. Non avevo mai visto tanta bellezza in vita mia e per poco non mi misi a tremare. Il suo sguardo spacca cuore incontrò il mio. Le parole si arresero davanti a una tale estasi.<<Non è esatto,>> mi disse <<io non ti ho trovata. Ti ho aspettata; ti aspetto da sempre Cristina>>. Il mio cuore prese a battere talmente forte, che pensai stesse per esplodere. La sua voce era come me l’ero immaginata, calda e profonda, come il suo sguardo- sinonimo che anche la sua anima lo era-. <<Cosa vuoi dire? E come fai a sapere il mio nome?>> replicai con un filo di voce. <<Vieni con me>> disse lui.Mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dal cancello. Io lo seguivo senza capire, ma con la certezza assoluta che potevo fidarmi di lui. <<Dove mi stai portando? Non posso saltare la scuola!>> la mia voce non risultò per niente convincente perché tutto ciò che volevo era andare con lui. Lo seguii fino ad un piccolo parco vicino la scuola. C’erano vasi di petunie di ogni colore, ben tenuti. Ci sedemmo su una panchina di legno e restammo, per un tempo interminabile, almeno per me, in silenzio.Avevo mille domande da fargli ma decisi di rimandare l’interrogatorio. Lo sorpresi a guardarmi, mentre io fissavo la panchina vuota di fronte a noi. Non riuscivo a guardarlo perché il suo sguardo mi ipnotizzava e bloccava ogni mio gesto vitale, compreso il respiro. << È passato qualche mese, ma tu sei rimasta uguale. È tanto che aspettavo questo momento.>>disse all’improvviso. La sua espressione era un po’ imbarazzata ma sembrava che mi conoscesse da sempre.<<Quindi eri tu, sotto la finestra? Voglio dire, la finestra della mia vecchia casa.>> risposi continuando a guardare la panchina. Lui di scatto mi prese il viso e me lo girò delicatamente verso di lui. I soliti brividi mi percorsero la schiena. <<Ma non l’hai ancora capito? Sono sempre stato io, per tutto questo tempo.>> La sua mano calda, era gelida in confronto al mio viso, che aveva preso fuoco.

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