Capitolo uno e due
Da Bartel
Il ragazzo se ne sta sdraiato per terra nel giardino di fronte al laghetto. Tre grosse pietre chiare affiorano dal pelo dell’acqua. Un venticello tiepido gioca tra gli alberi e i cespugli che nascondono la riva e spinge onde delicate ad abbracciare i massi. Il ragazzo guarda una nuvola quasi immobile, chiude gli occhi e riaccende il piccolo walkman Sony ricevuto da suo padre per intercessione della madre. Quelle cuffie chiare nascondono il rumore del mondo e minacciano sordità sicura. Eppure adesso ha un walkman che in Italia nemmeno conoscono. Ora si ascolta in santa pace qualcosa che suo padre non capirebbe mai. Hells bells hells bells, you got me ringing hells bells, my temperature's high hells bells. E aspetta. Il suono è forte, troppo. La voce stridula del cantante la si può percepire da qualche metro anche se ovattata dalla spugna della cuffia. Da un cespuglio di azalee alle sue spalle spunta silenziosamente una ragazza. Prima la testa piegata in avanti, poi le spalle curve e le braccia che trascinano qualcosa. Una sedia con lo schienale alto a sinistra e a destra una strana custodia in pelle, grande e apparentemente pesante. La ragazza poggia lentamente la sedia a qualche metro di distanza dal ragazzo e scosta i lunghi capelli chiari dalla fronte . Il viso è sudato, una goccia di sudore le scivola in un occhio che lei si sfrega freneticamente per qualche secondo. Il ragazzo, forse per la vibrazione sul terreno o per un ombra improvvisa o per il nuovo odore di essere umano nell’aria apre gli occhi e si tira su a sedere. “Lia! Che fine hai fatto?” le chiede a voce troppo alta e senza aspettarsi una risposta. La ragazza lo ignora, poggia per terra la custodia che ha trascinato sino alla radura e la apre. Con la mano sinistra estrae un violoncello. Si siede a gambe larghe e solo allora il ragazzo si accorge che è scalza. Lo strumento si accomoda tra le cosce magre di Lia come un cane affettuoso. Nella mano destra è apparso un archetto che si poggia sulla prima corda mentre le dita della mano sinistra corrono a sistemarsi sulla tastiera del manico. Il ragazzo osserva Lia abbracciata al violoncello , la testa in avanti con i capelli lunghi pericolosamente vicini alle corde. Sa già che i suoi occhi sono chiusi , sa cosa significa e spegne il walkman. Dopo un istante il violoncello canta. La sua voce calda comincia profonda, poi si allarga nervosa e poi si frantuma in colpi d’archetto veloci e nervosi, si espande, sale e precipita nell’acqua dello stagno e riemerge salendo tra i rami curvi . Le dita di Lia piegano con forza e velocità le corde e rimescolano una materia sconosciuta nel petto del ragazzo. Lui sa che quello è Bach, lo sa perché glielo ha detto Lia, lo sa da un anno cos’è il concerto in C minor per oboe e violino riarrangiato per violoncello dalla sua amica Lia che con la musica è una grande, ma che se le parli non ti risponde e non si lava o pettina se non c’è sua madre. Lia, Lia, Lia dalle gambe lunghe. Lia dalla pelle chiarissima, Lia sempre raffreddata d’inverno con il naso che cola e nessuna voglia di asciugarlo. Lia tredicenne di un altro pianeta, aliena tra gli alieni, gaijin per tutti, genitori compresi. Il violoncello tace. “Brava Lia, come sempre!” Un piccolo applauso del pubblico non pagante e alle spalle della ragazza appare una cameriera giapponese, minuta dai capelli scurissimi e dai modi gentili . “Signorina Lia, prego…”. Un breve inchino e si sposta di lato ad indicare la via del ritorno a casa. Lia si solleva , ripone rapida il violoncello, riafferra sedia e custodia e senza una parola si dirige verso la cameriera che è rimasta ferma. La cameriera sa che non deve toccare la figlia dell’ambasciatore, non deve portarle via gli oggetti dalle mani, non deve guardarla insistemente: quando le è capiato un anno prima ha rimediato due pugni in viso e ha quasi rischiato il licenziamento. Porci gaijin, porci puzzolenti gaijin, porci puzzolenti maleducati gaijin. ”Lo sai che tra qualche giorno arriva un altro ragazzo italiano?” . Il ragazzo ha lanciato la prima esca che ha trovato per fermare Lia che abbocca e si cristallizza attraversando a metà un cespuglio sotto lo sguardo scuro della cameriera. La voce di una ragazzina di tredici anni esce dalla bocca della violoncellista.“E’ simpatico?”. “Non lo so!”“E’ scuro di capelli ?”“Che ne so!”“Sa suonare?”“Non lo so!”“Sa aggiustare le radio?”“Cheneso!!!”“E’ come te?”“Cioè? In che senso?”I cespugli di azalee si aprono e si richiudono alle spalle di Lia e della cameriera. Resta il silenzio delle rocce nell’acqua, due solchi creati dalla sedia trascinata e dalla custodia del violoncello. Il ragazzo riaccende il walkman. La nuvola si è appena spostata verso nord. Le campane dell’inferno suonano: AC/DC per non sentire qualcosa che non ha ancora un nome.
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