gio, 30/9 ore 23:50 - Retequattro
Splendido lancio verso una preda mangiucchiata, da cui emergono, putrefatte, le interiora, e con le ossa acciuffate a lembi di carne, irrorati di sangue, di un’aquila che mira l’obiettivo, usando una tattica infallibile, attraverso un vibrarsi calibrato, a raso, per poi emergere in tutta la sua ferocia bestiale dinanzi al povero animaletto, indifeso, di lì a poco brandello per i predatori. Sydney Lumet, superate le tante primavere, è lì, pronto, con il suo stile che nell’intreccio e nel montaggio è fuor di paratassi, anzi volutamente scandito in scissi e separati percorsi personali affiancati da punti di vista e scene collegate ad integrum ma mai accavallate l’una sull’altra, per offrire un meccanismo che combina i pezzi senza mai incepparsi, ad orologeria nella precisione, scardinando e disossando il senso stesso di una famiglia che non trova pace ma biascica parole d’odio sognando “il colpo perfetto” e piegandosi, in una sequenza magistrale, all’ingrigito ed imbalsamato requiem di una madre e moglie “lasciata andare”. Lumet disgrega una famiglia, tranciando l’elemento spazio-temporale, che appare metaforico. Andy (Philip Seymour Hoffman) ed Hank (Ethan Hawke) due fratelli diversi, il loro punto in comune la comunità familiare. Il primo, corroso e dichiaratamente ai limiti della stessa (“Io non mi sono sentito mai parte del quadro” e, la dichiarazione pre-iniezione di “nettare della felicità”,“il bello della contabilità immobiliare è che può aggiungere e togliere cifre e far quadrare i conti, ma la mia vita non torna, forse io non sono la somma delle mie parti”), progetta il colpo alla gioielleria a conduzione familiare ( e ribadisce all’affermazione di Andy: “Il negozio di mamma e papà ?”, con un “L’ho appena detto , negozio a condizione familiare” quasi escludendosi, probabilmente a ragione, dal contesto). Il secondo, coccolato ed assistito (dirà, contrito, il padre “per il primo è sempre più dura”) dal “Non credo di poterlo fare”, indossa baffi posticci e accompagna l’uomo destinato a sceneggiare il colpo che non dovrebbe avere grane. Ma l’impiccio, con una “sceneggiata drammatica familiare da antologia”. Nessuno è veramente crudele; la brama di denaro ricama i destini dei due fratelli legati da una moglie ufficiale delusa e dimessa dell’uno e amante ufficiosa sensualissima ed appagata dell’altro (Marisa Tomei), in scene ad alto tasso erotico, torbide, poste già ad inaugurare la pellicola, e bisognosi di moneta sonante per vite in frantumi. Crudele è il caso, o meglio, come gli uomini compatti rispondano ad esso, pianificando qualcosa che non ha certezze assolute, e quindi confermando l’assoluta immoralità non tanto della natura dell’uomo in sé quanto di quella della società, del mondo (cercando facili tracce sull’omicidio della moglie, il grande Albert Finney, da un trafficante losco ben noto, sentirà parole che starebbero bene in bocca allo stesso Lumet: “Il mondo è un luogo malvagio; alcuni sanno sfruttarlo, altri sono distrutti”). Il portrait sui peccati non veniali dell’uomo moderno si conclude in tragedia cinica e nera. Anche l’aquila che uccide l’animale sembra avere più dignità, scrutando dall’alto le sue prede; è istinto naturale non premeditazione infelice di una vendetta che non ammette il perdono, la remissione.