Pellicola del 1939. “Un grande amore” è la perfetta sintesi tra il melodramma e la commedia-musical. Ha un’andatura incerta. Due mani si avvicinano, si sfiorano, i corpi si avvicinano, si sfiorano, i volti si avvicinano, si sfiorano, ed un gioco fotografico e di regia blocca la visione, come se la pudicizia sia un valore da preservare. Storia di un uomo e una donna che si incontrano per caso sulla “Napoli”, nave diretta in America. Lui è uno scapolo impenitente e un playboy noto in tutta la Francia, lei un ex-cantante con una voce fantastica (e le canzoni acquistano un peso notevole proprio grazie alla timbrica dell’attrice, Irenne Dunne). La scelta è di mischiare dolce e amaro. La nonna Janou, dal suo piccolo recinto di Madeira, ha la saggezza della vita vissuta. Le sue parole sono speranzose, ma velate da una malinconia infinita. L’inserimento del suo personaggio, attraverso lo scalo a Madeira, è un espediente sapiente che bilancia ciò che era stato troppo repentino e felice. Da un gioco di sguardi, di confessioni tra i due sconosciuti (con ovvio chiacchiericcio degli altri passeggeri) si passa ad un discorso di contenuti più sottili. E il regista, coadiuvato da una sceneggiatura impeccabile, è un po’ un poeta, un po’ un narratore interno, un po’ l’alter-ego del personaggio maschile interpretato da un bravissimo Charles Boyer. Irenne Dunne è splendida, ma su tutti domina la figura di Maria Ouspenskaya, che in poche battute, è il fiore all’occhiello del film. A questo proposito tengo a sottolineare che la donna fu allieva di Stanislaskvi nella prima fase di elaborazione del sistema e poi fondatrice di una scuola in America con l’amico attore Bolesławski. Proprio da questa variante, con le dovute differenzazioni, partirà l’Actor’s Studio e nascerà il “Metodo” di Strasberg. Dirige Leo McCarey, garanzia di finezza, troppe volte accantonato nel recupero dei vecchi cineasti, per simpatie politiche reazionarie più che per qualità artistica. In realtà "Un grande amore" è un film romantico che si tinge di melodramma, che si tinge di rosa, senza perdere il contatto con la vita reale (e il personaggio della nonna è un pò il ritorno al mondo). Semplice, ben recitato e diretto. E' il 1939 e, oggi, di film del genere non se ne realizzano più. Accontentiamoci del buon remake dello stesso regista del 1975, e cerchiamo di tacere su quello del 1994.
Pellicola del 1939. “Un grande amore” è la perfetta sintesi tra il melodramma e la commedia-musical. Ha un’andatura incerta. Due mani si avvicinano, si sfiorano, i corpi si avvicinano, si sfiorano, i volti si avvicinano, si sfiorano, ed un gioco fotografico e di regia blocca la visione, come se la pudicizia sia un valore da preservare. Storia di un uomo e una donna che si incontrano per caso sulla “Napoli”, nave diretta in America. Lui è uno scapolo impenitente e un playboy noto in tutta la Francia, lei un ex-cantante con una voce fantastica (e le canzoni acquistano un peso notevole proprio grazie alla timbrica dell’attrice, Irenne Dunne). La scelta è di mischiare dolce e amaro. La nonna Janou, dal suo piccolo recinto di Madeira, ha la saggezza della vita vissuta. Le sue parole sono speranzose, ma velate da una malinconia infinita. L’inserimento del suo personaggio, attraverso lo scalo a Madeira, è un espediente sapiente che bilancia ciò che era stato troppo repentino e felice. Da un gioco di sguardi, di confessioni tra i due sconosciuti (con ovvio chiacchiericcio degli altri passeggeri) si passa ad un discorso di contenuti più sottili. E il regista, coadiuvato da una sceneggiatura impeccabile, è un po’ un poeta, un po’ un narratore interno, un po’ l’alter-ego del personaggio maschile interpretato da un bravissimo Charles Boyer. Irenne Dunne è splendida, ma su tutti domina la figura di Maria Ouspenskaya, che in poche battute, è il fiore all’occhiello del film. A questo proposito tengo a sottolineare che la donna fu allieva di Stanislaskvi nella prima fase di elaborazione del sistema e poi fondatrice di una scuola in America con l’amico attore Bolesławski. Proprio da questa variante, con le dovute differenzazioni, partirà l’Actor’s Studio e nascerà il “Metodo” di Strasberg. Dirige Leo McCarey, garanzia di finezza, troppe volte accantonato nel recupero dei vecchi cineasti, per simpatie politiche reazionarie più che per qualità artistica. In realtà "Un grande amore" è un film romantico che si tinge di melodramma, che si tinge di rosa, senza perdere il contatto con la vita reale (e il personaggio della nonna è un pò il ritorno al mondo). Semplice, ben recitato e diretto. E' il 1939 e, oggi, di film del genere non se ne realizzano più. Accontentiamoci del buon remake dello stesso regista del 1975, e cerchiamo di tacere su quello del 1994.
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