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Capovolgi Portofino e inizia a sognare.

Creato il 09 aprile 2014 da Pinocchio Non C'è Più

A pensarci mi sembra impossibile, ma sono stato anch’io un bambino. E come tutti i bambini sognavo.

Tutti i miei amichetti volevano essere piloti di Formula Uno, perchè andare veloci era roba da grandi, roba da maschi, Fede voleva fare il calciatore, il Sama l’astronauta, Roby il pilota d’aerei. Ma nessuno, neanche il figlio del preside che abita dall’altra parte della strada, avrebbe voluto guadagnarsi da vivere scrivendo. Nessuno. Oddio, proprio nessuno nessuno, no….uno c’era. Ma si vergognava a dirlo.

Si, lo ammetto, ero un bambino poco socievole, che faceva sogni atipici, uno di quelli che si sente sempre fuori posto, anche se sta da solo in una stanza. Erano i primi anni ottanta, resistevano gli ultimi rigurgiti degli anni di piombo, Moro, Pasolini, L’Italicus, la stazione di Bologna, erano ancora ricordi accesi nella memoria dei miei genitori. Pure la mia data di nascita coincideva con la strage di Piazza della Loggia a Brescia. C’era una certa inquietudine nell’aria, nella mia cittadina di provincia, nello sguardo di mia madre quando dicevo che sarei andato a tirare due calci al campetto dell’oratorio. Intuivo che ci fosse qualcosa di strano, si, avevamo da poco alzato la coppa del mondo, ma qualcosa ancora non andava. Dovevo assolutamente trovare un modo per incanalare il mio stato d’animo. E così prendevo un foglio e iniziavo a buttare giù parole. Frasi di un bambino di nove anni, niente capolavori della letteratura, solo io, una pagina bianca e la mia penna con su scritto “Portofino” con all’interno la barchetta che navigava verso il molo non appena la capovolgevo. E scrivevo, spaziando dagli aneddoti scolastici, alla sensazione di formicolio dentro lo stomaco che provavo ogni volta che dalla mia finestra vedevo la Valentina che scendeva le scale. Che aveva sempre la coda e rideva nel suo cappottino rosa e bianco.

Quello era il mio angolo segreto, il posto dove chiudere a doppia mandata i miei pensieri e le mie ambizioni, volevo contribuire, non sapevo a che cosa, ma lo volevo tanto. Gli altri ragazzini ogni tanto mi guardavano strano, facevo finta di fregarmene, in realtà me ne fregava eccome, volevo solo essere accettato per quello che ero. Ma non mi sentivo una vittima, dovevo solo fingere un po’ di essere come loro, avere la risposta giusta a quella maledettissima domanda “che vuoi fare da grande?”. Certo, vista la mia abilità con la palla fra i piedi il calciatore era da escludere, oddio, portavo occhiali da vista piuttosto spessi, il pilota di aerei o di formula uno sarebbe stato rischioso, insomma i mestieri più fighi mi erano preclusi, alla fine decisi: “costruirò le barche”. Si, mi sembrava un gran bel mestiere, anche i miei amici furono d’accordo, davvero un gran bel mestiere.

Loro erano soddisfatti ed io ero felice perchè le mie barche avrebbero navigato verso uno spazio bianco, verso un un insieme di parole, verso un molo. Bastava solo capovolgere la penna e iniziare a scrivere.
Nessuno di noi è diventato ciò che sognava, ma non importa, ciò che conta è averlo immaginato davvero, non mi mantengo scrivendo, non costruisco barche e non ho sigari cubani, ma circa due volte l’anno, verso le sei del pomeriggio, in un tramonto quasi anonimo, una sigaretta sulla punta estrema del porticciolo me la concedo.

Non si deve mai dire ad un bambino che i sogni sono solo sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse” (Paulo Coelho)

Dedicato a tutti i bambini di quarant’anni ed oltre che si ostinano a sognare. Il violinista sul tetto.

 



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