Mauro Federico Romero Bayter – Capricci – Federico Rui Arte Contemporanea – Dicembre 2011
M.F.R. Bayter - Capricho milanese - 2011 - olio su tela - 120 x100 cm - Courtesy dell'artista
Osservare un capriccio in pittura dev’esser come leggere un racconto di Lovecraft o Poe. In entrambi i casi il sentimento dello spaesamento è controbilanciato dalla quiete in cui – di solito – si apprezzano tali opere dell’ingegno creativo, in piedi davanti al quadro e comodamente adagiati sul talamo col libro aperto davanti agli occhi. Pensate ad esempio a Intérieur d’une abbaye en ruine del pittore romantico francese Hippolyte Sebron.
Hippolyte Sebron - Intérieur d'une abbaye en ruines
E’ la decontestualizzazione di vestigia del tutto immaginarie in un paesaggio fatto e finito che non appartiene alla realtà. L’inquietudine e la tetraggine della raffigurazione, certamente enfatizzate dalla figura enigmatica che vagola nelle ombre profonde come la notte senza fine e misteriosamente illuminata dal varco di luce gelida che da lontano s’arresta al limitare del colonnato, sembrano chiedere, per poter essere apprezzate, il porto sicuro di una fruizione quieta. Un po’ come per la categoria estetica del sublime, summa del terrore occasionato dall’infinitamente potente e dall’infinitamente grande, apprezzabile solo e soltanto se si sta dall’altra parte del delirio, osservando la scena chetamente interessati.
Naturalmente il turbamento dell’anima non è sempre caratteristica intrinseca al capriccio. Si potrebbero fare numerosi esempi, tanti quanti sono i rimandi esplicativi offerti dalla storia dell’arte occidentale. Si pensi ai Caprichos di Francisco Goya (sempre un po’ “nero” anche lui, in verità) o alle vedute e ai capricci di Francesco Guardi, dove l’anima, invece che perdersi nella verisimiglianza delirante della raffigurazione, sembra quasi riposare, protetta e ancorata a un porto sicuro.
Francesco Guardi. Arco fantastico con figure umane
In tutti i casi agisce certamente un meccanismo che fa leva sull’inconscio, al punto tale che si potrebbe ritenere il capriccio una categoria dello spirito, un sottoinsieme di quella forma simbolica che è l’arte visiva dal forte valore archetipico. In qualche modo, consapevolmente o meno, col capriccio noi c’intendiamo.
Questi capricci metropolitani di c non si sottraggono alla regola. L’ambientazione è acquorea, l’acqua dei Navigli di Milano come ora non è più. E nemmeno potrebbe essere. C’è tutto Bayter, in questa serie d’opere inedite, ma anche qualcosa di più. L’acqua e le architetture, elementi tanto cari al pictor optimus, ritornano con espressione ancora più nervosa e libera, conferendo a questa nuova produzione un afflato universale che parla il nostro linguaggio. Gli ultimi lavori di Bayter respirano di più, la loro forza è ora intensificata dalla tranquillità del segno che lascia desnude porzioni di tela e si presentano all’osservazione sufficientemente aggressivi senza perdere l’eleganza di una potenza espressiva che non abbisogna di trucchi e punti esclamativi. Sono scabri ma non virulenti, fedeli al passato ma non passatisti, ligi alla lezione dei maestri ma operativamente autonomi, si autoterminano nel non finito ma si tengono a debita distanza dalla leziosità furbetta dell’incompiuto di comodo. Insomma, Mauro Federico Romero Bayter era, è e sarà, sempre, un pittore che spacca.
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Federico Rui Arte Contemporanea