Ad ogni nuovo episodio diviene sempre più difficile distinguere tra loro le avventure create dai Marvel Studio, universo cinematografico dalla personale identità che possiede regole precise, legate ad una forma seriale che consente sempre meno la visione occasionale, pena la mancata comprensione dei rapporti che legano i vari personaggi. Lo schema logico ormai non ha più sorprese e consiste nell’astrazione cinematografica della serialità fumettistica, fatta di storie parallele pronte a convergere tra loro convergere per ottenere un nuovo inizio, una nuova partenza dopo aver modificato radicalmente la mappa cinematografica in cui si muovono le varie pellicole. Sotto questa ottica si inserisce perfettamente “Captain American The Winter Soldier” di Joe e Anthony Russo, che è allo stesso tempo motore propulsivo per quello che verrà (un qualsiasi altro Marvel film, o la prossima riunione di eroi), nonché ri-scrittura di un personaggio trasportato più per necessità realizzative legate al precedente crossover che per altro. A confermarlo la sbagliata(?) paternità del primo capitolo affidata a Joe Johnston, regista se non tra i migliori, comunque meno incline a seguire dettami stilistici imposti dalla catena produttiva, più invasiva che virtuosa. Ecco quindi che questo secondo capitolo ha assunto il compito di modificare il tono generale, facendo della nuova avventura di Steve Rogers il vero manifesto dei Marvel Movies (ormai a tutti gli effetti un genere a se stante). Esteticamente perfetto, privo di particolari eccellenze e “finalmente” scevro da qualsiasi eversiva deriva autoriale, si adatta perfettamente al Whedon pensiero, che vede una uniformità tra prodotti diversi sia essi cinematografici che televisivi (Agent of Shield). Accettato questo il resto poco importa, il meccanismo film finalmente funziona senza incepparsi e lo spettacolo diverte in gran misura nelle parti che lo compongono. Probabilmente dopo quasi dieci anni di eroi Marvel ci siamo abituati ad accettare compromessi di visione, addestrando il nostro sguardo ad essere meno esigente per godere senza indugio di queste “pellicole fast food”, oppure proprio come Steve Rogers vediamo nel passato una luce comunque migliore di quella dei giorni d’oggi. “Captain America The Winter Soldier” funziona non tanto per le qualità produttive (comunque ottime come da prassi) o per la qualità delle scene d’azione (che non regalano mai la spazialità necessaria per poterle comprendere i fratelli Russo non sono Greengrass), ma principalmente per una storia che va oltre il mero atto giustificativo dell’enorme dispiego di effetti speciali e musiche roboanti, impegnandosi nel tratteggiare personaggi e a creare un intreccio degno di una spy story anni ’70. Non è un caso forse trovare Redford interpretare proprio una figura speculare al Joseph Turner de “I tre giorni del Condor”, ed un Steve Rogers che invece si ritrova a correre contro il tempo per salvarsi e fermare coloro che non riescono più a comprendere la differenza tra giusto e sbagliato. A voler tentare l’azzardo questa avventura dell’eroe scudato sembra quasi una rivisitazione moderna e più muscolosa del capolavoro di Pollack, ma sono solo echi dovuti alla presenza scenica del rapace originale, ormai anch’esso non più figura eversiva, ma burattinaio del sistema. Nel bel mezzo di tutto questo, lo spettacolo di grana grossa è assicurato che siate o meno fan del personaggio e per una volta le luci in sala si riaccendono prima di trasformare tutto in noia.
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