Il tratto autostradale era quello che da Orte conduceva quasi rettilineo verso Roma Nord, prima dell’ampio bordeggiamento della capitale. Guidavo la sua Alfa con gesti docili, badando a mettere su strada i tanti cavalli con una certa parsimonia. Seduta al mio fianco, lei si era abbandonata ad una posizione comoda. Discorrevamo in armonia, come sempre, lasciando che le parole fluissero come per associazione d’idee. Fuori, raffiche di vento zuccherino spazzavano le colline circostanti e, oltre, i rilievi più pronunciati. La musica in sottofondo divenne ad un certo momento sensibilmente riconoscibile. Alzai il volume dell’autoradio ed ascoltai. Anche lei si interruppe. Quanti capelli che hai, non si riesce a contare sposta la bottiglia e lasciami guardare, se di tanti capelli ci si può fidare… Cominciai a cantarci sopra, con qualche evidente incertezza. D’altra parte, quanto tempo era passato frattanto? << L’album è di trent’anni fa >>, dissi: << Dalla… un po’ il sequel del precedente, che resta il più bello >>. << Lo sentivo a casa di una mia compagna di classe >>, continuò lei, << aveva una stanza con lo stereo e la moquette sul pavimento… ti ricordi la moquette?... in quel periodo andava di moda >>. << Era il 1980… dunque, sì, frequentavo la quarta ginnasio >>. << Io invece qualche anno dopo. Potevo avere… quanti anni avevo nel 1983? Diciassette… credo >>. Ripresi a cantare. Tu corri dietro al vento e sembri una farfalla, e con quanto sentimento ti blocchi e guardi la mia spalla, se hai paura ad andar lontano puoi volarmi nella mano… Conoscevo bene quella sua espressione, si era assorta nei pensieri più fitti. << Ti ricorda qualcuno? >>, chiesi. Lasciò cadere alcune parole, quasi distrattamente, tenendosi sul vago. Non insistetti. La canzone in sottofondo sfumò in un sonoro jingle pubblicitario che lei accolse con un sospiro di visibile sollievo.
Tornai con lo sguardo sull’asfalto liscio che si dipanava flessuoso sotto i pneumatici. Ma che bella mattina, il cielo è sereno… Pensai che a volte sono sufficienti due battute per richiamare un’immagine dalle pieghe della memoria. Poche note, un giro di accordi, una voce. Un colpo secco sferrato al cuore. Stringi la fessura degli occhi e, all'improvviso, tutto si ripresenta dov’era. Rifluiscono i desideri che stavano maturando, le intenzioni tessute di speranza, le prospettive che parevano tangibili. E subito dopo la severa presa d’atto che il tempo si è ormai chiuso la porta dietro le spalle. Se ne riemerge confusi, con una pena dentro, forse la stessa da sempre.