La città sacra di Caral rappresenta la civiltà più antica d’America e l’origine della cultura andina, avendo una storia di più di 5.000 anni. Si è sviluppata in concomitanza con il sorgere delle civiltà antiche della Mesopotamia, dell’Egitto, della Cina e dell’India.
Si trova in Perù nella provincia di Barraca, a circa 182 km a nord di Lima, nella valle di Supe. Il complesso è formato da diverse costruzioni, tra le quali spiccano sei strutture piramidali e la piazza a struttura circolare. Gli studiosi ci rivelano che gli abitanti di questa città si dedicavano prevalentemente alla pesca e all’agricoltura.
Eccezionalmente ben conservato, il sito è famoso per la sua estensione di ben 66 ettari e per la complessità della sua architettura, oltre che per la sua imponenza. In particolare si osservano una pietra monumentale ed ben 18 insediamenti urbani. Il ritrovamento nella zona di un “quipu”, ovvero un insieme di corde annodate che servivano per calcoli matematici, testimonia lo sviluppo della civiltà di Caral che è ancora fonte di studi.
Scoperta la prima volta nel 1905, ma portata definitivamente alla luce nel 1948 dall’archeologo statunitense Paul Kosok, Caral è considerata una delle più antiche città delle Americhe, e molto probabilmente dell’intero mondo.
Si stima che sia stata abitata tra il 3.000 e il 2.000 a.C. dalla civiltà Norte Chico, un insieme di popoli precolombiani che comprendeva ben 30 centri urbani posizionati in quella che oggi è conosciuta come l’omonima regione del Perù centro-settentrionale. La città ospitava circa 3.000 persone, e altre 20.000 abitavano i centri circostanti.
Il fulcro del complesso è costituito da un enorme spazio pubblico centrale con 6 tumuli piramidali di grandi dimensioni disposti attorno. Il più grande dei tumuli è alto 60 metri e misura 450 x 500 metri alla base. La struttura suggerisce un elevato livello di pianificazione di quella che già a quei tempi doveva essere una cultura organizzata.
Grazie alla particolare tecnica di costruzione, il sito è molto ben conservato, nonostante i vari terremoti che ha dovuto subire. Alcuni sacchi di fibra vegetale venivano riempiti di massi e quindi collocati all’interno dei muri di sostegno delle strutture, garantendo stabilità all’edificio e rendendolo di fatto “antisismico”.
Questa metodologia ha permesso agli abitanti di Caral di costruire piramidi alte fino a 70 metri. E questo rappresenta il primo enigma. Come ha fatto la comunità di Caral, in un periodo tanto primitivo, a sviluppare una tecnologia così avanzata?
In un incavo dei tempio principale sono stati ritrovati 32 flauti realizzati con ossa di ali di pellicano. Inoltre, nel 2002 sono state trovate 37 cornette realizzate con ossa di cervo e di lama. Chiaramente, la musica ha giocato un ruolo importante in questa società.
Non sono state trovate, invece, tracce di residui militari: niente battaglie, niente armi, niente corpi mutilati né elementi che facciano pensare alla pratica dello schiavismo. Tutto questo induce a pensare che si trattasse di un popolo pacifico, che si occupava di commercio.
E qui viene spontanea la seconda domanda: che cosa è successo agli abitanti di Caral? Se la loro civiltà non è stata cancellata da una guerra, allora che fine hanno fatto? Chi c’è stato ha testimoniato che quando si cammina tra le antiche rovine ci si immerge in un atmosfera magica, impregnata di spiritualità e mistero.
Altro enigma di Caral è il fatto che furono trovate delle statuine d’argilla non cotta. Come fu possibile che una civiltà gerarchica, capace di costruire imponenti strutture piramidali, il cui sistema sociale era differenziato e che dominava un territorio di circa 87.000 chilometri quadrati, non abbia conosciuto la ceramica?
Il fatto che la cultura di Valdivia, città dell’odierno Ecuador, abbia realizzato meravigliose creazioni fin dal 4000 a.C. ci impone a chiederci perché questo tipo di tecnologia non si sia sviluppato anche a Caral.
Le sorprese non sono finite, perché bisogna segnalare che a complicare la nostra ricerca sta il fatto che a Caral furono trovati degli esemplari di spondylus, un mollusco bivalve tipico dell’Ecuador. Cosa ci faceva lì? Un altro dei misteri di questa città da non sottovalutare è che fino ad ora non si è trovato un cimitero. Sono stati recuperati solamente i resti ossei di due persone. La mancanza di un cimitero nella zona potrebbe far pensare che Caral fosse solo un centro cerimoniale, ma gli edifici abitativi portano a scartare questa ipotesi.
Si spera che con le prossime ricerche sul campo, condotte con sofisticati metodi tecnologici, si possa trovare il cimitero, che fornirebbe importanti informazioni sulla vita di questo popolo. A Caral non si utilizzava il bronzo e neppure il rame o l’oro. Era una società agreste, basata sul baratto, ma che disconosceva l’uso dei metalli e della ceramica.
Ci si concentrava nell’affinare altre conoscenze, come per esempio l’uso delle piante medicinali e dei tessuti. A tale proposito va detto che il telaio non era conosciuto e per la creazione di tessuti si utilizzavano rudimentali tecniche d’intreccio. L’influenza della cultura di Caral nella valle di Supe durò fino al 1800 a.C., quando, per cause ancora ignote, andò lentamente declinando e i suoi abitanti emigrarono verso altre terre, probabilmente più fertili e umide.
Questa in sintesi è la storia di uno dei più antichi insediamenti urbani, che ha fatto parlare di sé a causa delle sue troppe incongruenze. Sarebbe davvero interessante potere un giorno dare una risposta alle molteplici domande che, nel corso dei secoli, si sono fatte strada nell’immaginario collettivo.
Written by Cristina Biolcati