Dall'invenzione della stampa tipografica fino all'avvento del desktop publishing, progettare e costruire caratteri era un mestiere. Anzi, più di un mestiere: un'arte. Nei secoli, straordinari designer hanno tracciato la storia della stampa, contribuendo a creare caratteri (molti dei quali in uso ancora oggi) e a tradurre, in un certo senso, i sentimenti artistici, politici e sociali delle rispettive epoche in aste, ascendenti e discendenti. I nomi li conosciamo: Jenson, Garamond, Bodoni, Didot, Baskerville, Clarendon, Novarese. All'epoca, la vita di un carattere era relativamente breve: cambiavano le epoche, certo, ma con esse anche la tecnologia; inoltre, si deterioravano i materiali con cui i caratteri erano costruiti – contribuendo di fatto a dotare i caratteri di una sorta di ciclo naturale, di vita e di morte.
Negli ultimi venticinque anni, tuttavia, c'è stata una tripla rivoluzione: sono cambiate radicalmente le tecnologie di progettazione (il desktop publishing), conservazione (i font digitali) e di diffusione (la Rete) dei caratteri, contribuendo all'esplosione del settore. I pochi, affermati designer del tempo sono diventati migliaia; e i font disponibili sono passati da qualche centinaio ad oltre 150.000 tra vecchi, nuovi, ridigitalizzazioni e nuove edizioni. Caratteri costruiti talvolta con set incompleti o parziali, ma con una stessa caratteristica – straordinaria per certi versi, ma anche altrettanto preoccupante: la vita eterna.
Un esempio? Il Minion (chi usa i software Adobe sa perfettamente di cosa sto parlando). Disegnato da Robert Slimbach nel 1990, compie oggi più di 21 anni. Un'eternità, dal punto di vista artistico. Quanto durerà ancora? Finché esisterà Adobe, probabilmente, il Minion continuerà a diffondersi e, di conseguenza, a essere utilizzato. Potrebbe avere davanti altri 20, 30 o 50 anni di vita. Non c'è niente di male, intendiamoci: a conti fatti, il Minion è anche un bel font. Lo stesso ragionamento si applica facilmente a Garamond (l'originale è del 1500, la versione digitale di fine anni '80), Helvetica (1957), Arial (legato alla diffusione di Windows dal lontano 1992) e mille altri caratteri ben noti ai designer.
Ma finché manteniamo e diffondiamo gli stessi font in eterno, che spazio possiamo fornire ai caratteri di domani? Finché i designer, per comodità, abitudine, disponibilità, continueranno a scegliere Minion (o Garamond, Helvetica, Arial o – dio ce ne scampi – Comic Sans), come distingueremo il futuro della tipografia dal suo passato? Come distingueremo un carattere nuovo, ben fatto, intelligente e versatile da uno vecchio altrettanto ben fatto ma, questo è il punto, passato? Come contribuiremo all'avanzamento della tipografia moderna verso la meritata evoluzione, aiutando i Jenson e i Bodoni di domani ad emergere e tracciare nuove strade?
Una risposta c'è: evitiamo i classici del passato. Acquistiamo nuovi font di designer viventi, contribuendo col denaro al loro sforzo. Informiamoci, cerchiamo, scopriamo nuovi talenti e nuovi caratteri. Usiamo e convinciamo ad usare font del presente. Affrontiamo la sfida di provare nuove strade. Tra gli oltre 150.000 font presenti sul mercato oggi, si nascondo gemme straordinarie che aspettano di essere scoperte e meritano di essere comprate, usate, diffuse con la stessa energia con cui vengono usati e diffusi i font del passato.
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