Sono in ospedale in attesa. Stamattina per salire ad Atri il tempo è stato impressionante. Molto brutto.
Buona parte della mia vita è ruotata attorno a questa cittadina, molte cose della mia adolescenza sono state vissute qui. Quindici anni fa, alle scuole superiori in pieno centro storico, aprivamo le finestre per far entrare la nebbia in aula e generare caos. Cose che solo dei cretini in fase di crescita possono riuscire a fare per evitare di fare lezione e creare cazzate. Quante risate e quante stronzate.
Atri è sempre stato un paese con questa sua unicità, oggi non più, tutta la foschia sorge a valle e acceca la luce di chi ha difficoltà nella vista, sconvolgendo ogni senso.
È impressionante come le cose possano rivoltarsi così.
C’era una industria dolciaria famosissima, è c’è tutt’ora. Si diceva che quando cambiava il vento e il profumo del Panducale arrivava nel suo cuore, nella piazza, nelle vie, nevicava. Chissà se vale ancora?
Nel reparto cardiologia ora c’è tanta gente in attesa. In venti minuti è cambiato lo scenario anche qui. Inizio a sentire caldo.
Un paziente è appena arrivato per un problema al pacemaker e lo hanno spedito al pronto soccorso.
Per avere la priorità bisogna sempre fare dei giri assurdi nonostante i problemi evidenti.
Sono le 8.34
Sono passata in un altro ambiente, sempre in attesa e in fila. Ho capito che questo messaggio è un work in progress che completero’ in un secondo momento. Davanti a me un bambino biondo col cappello ha appena dato una testata impressionante alla sedia. La madre lo ha richiamato all’ordine.
Non sembrano proprio giorni di festa. Nessuno avverte più niente e i commenti sul Natale sono scarni, poveri di gioia.
È appena arrivato un tizio in tuta grigia e cappello rosso. Di tanto in tanto lo guardo per spiarlo: ha un auricolare e scarpe grigio scuro dai lacci rossi, occhiali rayban in bocca, a morderne le punte che vanno poggiate sopra le orecchie. Scatta foto non posizionando la macchinetta. Sento solo il rumore del cik ciak. Qualcuno alle mie spalle mi spia. Sento la voce di una signorina troppo vicina. Il bambino di prima combina casini e mi scappa da ridere. Sono sempre contenta quando i piccoli manifestano i loro disagi in ambienti noiosi. Gli anziani sono smarriti. Una signora incinta con una finta Fendi e’ arrivata accanto a me. Ha degli stivali bruttissimi, grigi. Di viso è molto bella. Uscire così presto per raggiungere una struttura ospedaliera implica menefreghismo. Solo io ho le crisi isteriche? possono esserci anche le bombe, ma un filo di trucco lo metto anche in caso di morte. Mi sento meglio per me stessa. Poi quando sono a casa sono un essere sbarcato dai baffi lunghi. Sono le 8.43. È arrivato l’utente ordinato e ribelle che non sopporta il caos e tenta di riordinare tutto. Il tizio in tuta di prima ha le braghe calate. I suoi pantaloni sono di un materiale spesso, cedono facilmente. Mi accorgo di stare scrivendo dettagli inutili ma non ho voglia di stare a fissare continuamente gli altri. Non ho gli occhiali da sole con me.
8.49.
Sono fuori. In macchina.
8. 52 sono in doppia fila. sti cazzi.
9.34 sono a casa.
Il cane è felice. Ho tolto gli stivali, il cane guarda fuori la finestra cercando di capire cosa sta facendo mia madre sotto casa.
Ci siamo fissati per un attimo, entrambi in ascolto. Stessi ritmi.
Mi metto a fare qualcosa. Ci saranno errori.
9.36
Parti di percorso in discesa.
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