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Cargo (Visioni Fuori Raccordo 2010)

Creato il 15 novembre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

cargo

Dopo la sceneggiatura di Mare nostro, torna il mare nell’opera di Vincenzo Mineo, siciliano di Erice (provincia di Trapani), con l’autoprodotto Cargo, documentario ambientato su una nave italiana sulla rotta Rotterdam-San Pietroburgo. Opera fortemente personale quella di Mineo, interessato a raccontare soprattutto la solitudine e l’isolamento dei marinai, condizioni che provarono suo nonno prima e suo padre poi.

Cargo è un documentario che, più di altri, ambisce ad elevarsi a cinema, giacchè, più che narrare storie, tenta di trasmettere sensazioni. Volendo trovare paragoni letterari, si potrebbero azzardare “Moby Dick”, per  il senso di solitudine nei confronti dell’infinito, e “La nausea” di Sarte, per lo stato di atarassia vissuto dai marinai.

Mineo realizza i propri intenti, con una pellicola in bilico fra testimonianza documentaristica e suggestioni cinematografiche.

Le interviste all’equipaggio (che prendono meno spazio del consueto) sono montate in modo intelligente e funzionale, riassumendo sensazioni e motivazioni dei marinai, senza retorica né eccessive ridondanze: scelta lavorativa obbligata (o quasi) per mancanza di denaro, nostalgia di casa, innumerevoli tentativi di ammazzare il tempo. Assistiamo a una carrellata di personaggi frustrati (i veterani) e pittoreschi giovani filippini che si ritengono fortunatissimi: fra tutti un giovane cuoco che frigge la mortadella, e un marinaio che sceglie proprio questo documentario per far sapere a sua madre di essere nonna…Interviste che, a tratti, più che narrare, sembrano fare da colonna sonora (insieme alle belle musiche) ad una splendida fotografia digitale. In realtà, è proprio questa scelta stilistica a dar forza all’opera, anzi a costituirne la forza stessa: ritmi lenti, a tratti biblici, per suggestioni spesso anche fantascientifiche (l’entrata al porto, la moltitudine di luci in notturna, i fumi, una sagace gestione della temperatura-colore richiamano, tutt’altro che casualmente, le atmosfere di Blade Runner), che si alternano a paesaggi nordici estremi (temperatura glaciale, venti gelidi, bufere di neve e mari ghiacciati).

Altra scelta importante, in questo senso, è stata quella di eliminare nel montaggio sonoro il rumore del mare. Quel che può sembrare un caso o un errore in realtà dice qualcosa di importantissimo sull’attuale condizione degli equipaggi. Già, perché il mare non è più un tema centrale per il marinaio moderno, slegato, ormai, da un anacronistico immaginario collettivo di avventura (per il quale ci si arruolava per girare il mondo, affrontando tempeste, vortici, balene e pirati). Ora i filippini (assunti perché più economici) non scendono neanche più dalla nave nelle soste per risparmiare il più possibile, i sistemi di navigazione sono automatizzati e il rischio di incidenti calcolato: gli attuali pirati, di certo, non assomigliano a Johnny Depp…E così la nave diventa una sorta di carcere volontario retribuito, una camera stagna che precede il ritorno alla vita. Comunque, un’esperienza più traumatica di quanto sembri, che non può non lasciare il segno su chi la vive, creando l’ossimoro di un collettivo di uomini soli, alienati in questo surreale non-luogo.

In definitiva, Mineo riesce negli scopi, mostrandoci, come voleva, la solitudine e l’isolamento, ma anche qualcosa di più difficile e profondo, con una pellicola che, metacinematograficamente parlando, scorre lenta, contemplativa, ostile e difficile, quanto la vita dei marinai.

Angelo Mozzetta


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