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Cari Accademici, Portate il Vostro Culo in Rete!

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite

Tornato da alcuni giorni bolognesi, da mattine cappuccino-e-cornetto, ho trovato una Berlino grigia e fredda. Ho allora trascorso un paio di giorni a leggiucchiare, un po’ dai libri in carta (a proposito ho comprato l’opera omnia di Kafka in tedesco! #eMoSoCazzi), un po’ in digitale e un po’ in rete. Ho così seguito una discussione lanciata da Critica Letteraria su un passo di un articolo di Roberto Cotroneo, dal titolo: L’informazione ha bisogno di humanities.

Il passo in questione era questo qui:

Il problema del web, e dell’informazione sul web, non è nell’innovazione, quella è facile: è nelle humanities. Solo che stiamo facendo morire gli studi umanistici nelle università italiane. Con danni veri. Un buon ingegnere deve imparare il greco, e un buon manager dovrebbe prima studiare san Tommaso e Aristotele, e solo dopo organizzazione aziendale. È finito un tempo e nessuno sa come farne iniziare uno nuovo: chi ha studi di humanities non ha potere, e chi ha potere snobba filosofia e letteratura, lingue antiche e arte. [...] Tutti abbiamo bisogno di fondamenta per le nostre case. Ma senza un progetto, senza Le Corbusier che prendeva dalla sua storia, dalla sua vita, linee e idee per nuovi edifici, le fondamenta sono solo piloni di cemento armato inguardabili e inutili.

Laura Ingallinella, dottoranda in filologia romanza alla Normale di Pisa, esperta di informatica umanistica (cos’è? vedi qui) e blogger a Critica Letteraria, spiegava:

Il passo è a conclusione di un articolo in cui si commenta la bassa qualità dell’informazine sul web, dovuta spesso al fatto – innegabile – che chi scrive di cultura non ha un background per poterlo fare con criterio. Le ripercussioni ci sono, perché se chi veicola il gusto non ha un progetto culturale alle spalle, fa del male alla società tanto quanto chi ignora i principi logico-matematici [...]

Trovo il discorso molto interessante e provo ad aggiungerci un parere dal mio punto di vista di chimico computazionale. (cos’è? vedi qui)

La prima cosa che mi viene in mente è che quella di Cotroneo è una visione umanistico-centrica della cultura. Se è vero che bisognerebbe studiare meglio latino e greco e gli autori classici (ma davvero serve conoscere il greco per fare l’ingegnere?), è vero anche che studiare le scienze è fondamentale (un po’ di informatica in più a un critico letterario magari non farebbe male, ne scrivo qui).

Ma, ahinoi, le scienze in Italia non se la passano benissimo. Per esempio, i quindicenni italiani sono all’undicesimo posto tra i cittadini dei Paesi OCSE per il livello di lettura, e al quattordicesimo posto per l’apprendimento in matematica e nelle scienze (PISA OCSE 2009). Dati che forse vanno letti nell’ottica della grave situazione culturale italiana: siamo un popolo di analfabeti? qui la risposta.

Il problema, poi, non è (solo) quello delle humanities nelle università italiane, ma il problema è le università italiane. Studio, ricerca e innovazione nelle nostre università sono indietro rispetto alle università degli altri Paesi – non ci sono università italiane tra le migliore cento università al mondo. Il “problema delle humanities” è, in realtà, un problema di cultura generale.

Se poi vogliamo concentrarci sulle humanities e il web, beh, a me viene in mente, perché ne leggo tutti i giorni, la ormai classica contrapposizione critica letteraria “tradizionale” (quella di chi ha studiato e ne capisce) vs. critica letteraria di un appassionato.

A tale proposito, mi pare interessante citare uno studio, per certi versi sorprendente, dal titolo “What Makes a Critic Tick?“. Come scrivevo qui qualche tempo fa, gli autori dello studio americano hanno analizzato i cento libri (non fiction) con i migliori giudizi della critica dal 2004 al 2007, confrontando il giudizio di critici professionisti con quello degli utenti amazon. Il risultato è che il parere medio di migliaia di utenti amazon coincide quasi perfettamente con quello degli esperti. Come a dire, davvero dobbiamo aver studiato Kafka in tedesco e Proust in francese per capire se un libro è bello?

Il vantaggio di essere chimico e di occuparmi anche di scrittura è di essere in due mondi (apparentemente) distinti e di vederne le somiglianze e le differenze. Ecco, è da un po’ che ci penso: le conferenze di chimici a cui ho partecipato negli ultimi due anni hanno dimostrato quanto la comunità chimica internazionale sia indietro, soprattutto in Europa, rispetto alla diffusione di social network e blogging – e poi ci lamentiamo che la “gente” non si interessa di scienza. Alla megaconferenza dei chimici europei dello scorso agosto, per esempio, non esisteva né un hashtag ufficiale né un wi-fi disponibile per i partecipanti.

Paradossalmente, la comunità delle humanities mi è sembrata molto più sveglia. Alla conferenza delle Digital Humanities (‘sti informatici-umanisti/digital-humanists sono però un ibrido tra computer geek e letterato…), tenutasi ad Amburgo nel luglio 2012, un mese prima di quella dei chimici, era un pullulare di tablets, un flusso continuo di tweets, una cascata di blog posts.

Un po’ di luce in fondo al tunnel, forse, c’è.

Per chiudere – che qui a Berlino è uscito il sole e bisogna approfittarne, se davvero riteniamo che l’informazione sul web sia di basso livello (ma ci sarebbe da discutere molto su questo, e poi, ne siamo proprio convinti?), una delle soluzioni possibili è che gli esperti e gli accademici muovano il culo dalla scrivania, vadano in rete e si mettano a fare concorrenza ai blogger.

Ma, per fortuna, in molti già lo fanno.

Cosa ne pensi? Davvero un ingegnere deve studiare prima il greco? Davvero bisogna leggere Kafka e Proust per capire se un libro è bello? L’informazione nel web è davvero di basso livello? Se ti va, lascia la tua opinione nei commenti.



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