Carla, do you copy me?

Creato il 16 gennaio 2013 da Gianlucaweast @gianlucaweast

(c) 2013 weast productions / Giovane siriano nella provincia di Aleppo 


Lo sapevo: lo avrebbe rifatto. E ridetto. Gentile signora Carla Del Ponte, le parole sono come i proiettili: lasciano il segno. Non puoi metterti a sparare a destra e a sinistra pensando di colpire nel vuoto, sempre. E nemmeno ti puoi aspettare che qualcuno ti dia della tiratrice scelta se colpisci sempre gli obiettivi sbagliati. Qualcuno mi ha segnalato la sua intervista al TG 20 di questa sera. L'ho vista, in qualità non proprio buona, ma a più riprese, e tutta.

Lei parlava della Siria. E io non ci sto. E mi spiego. Partiamo dal quadro generale: lei sta creando, cara Carla, una cortina fumogena sinistra e insidiosa. Dalla sua descrizione (prima risposta, subito all'inizio, le risparmio il time code) emerge questo quadro: lei è rimasta sorpresa (sorpresa da una “brutta sorpresa”) che i bambini “sono coinvolti in questo conflitto armato”. E aggiunge che “fino ai dodici anni li usano come messaggeri”. Bene. Chi li usa? I siriani? Gli arabi? I musulmani? Il governo? Gli insorti? Altri? Lei aggiunge: “a partire dai dodici anni sono allenati alla guerra, sono preparati per fare la guerra”. Okay. Chi li prepara? I siriani, gli arabi, i musulmani? La CIA, i servizi britannici, i sauditi, il Qatar? L'Iran? Chi?

Voglio partire da un presupposto: che lei sappia di che cosa sta parlando e che lei conosca (almeno un po') il Medio Oriente. E allora ci dica, per cortesia, chi sta preparando questi bambini alla guerra. Alle otto di sera non può sparare a zero senza aspettarsi fuoco di ritorno. Ebbene, cara Carla, il fuoco di ritorno è il mio. Affidato alle parole e al ragionamento, si capisce. Nella prima risposta alle domande, lei ha prodotto un quadro – voglio usare un eufemismo – orientalista, ma del peggior orientalismo. Lei ci sta proponendo l'idea di un popolo (quello siriano) che sacrifica i propri figli senza battere ciglio. E, ciò facendo, prende la scorciatoia abbandonando il percorso dell'argomentazione fattuale, razionale, investigativa e poliziesca alla quale dovrebbe ispirarsi perché è materia che conosce. Ci sta insomma dicendo che siamo di fronte a un branco di macellai. E siccome si tratta di arabi e di musulmani, credo che nessuno (e così è stato) se la senta di contraddirla, alle nostre latitudini. Non mi piace. Andiamo avanti. Lei ci ha raccontato un episodio che voleva, nella sua intenzione narrativa, toccante. E' venuto superficiale, maldestro, di uno scandalizzato piccolo borghese e perbenista. Ha detto (sintetizzo la versione letterale): ho visto nel campo profughi in Giordania un ragazzo di 13 anni che aveva perso una gamba. “E' incredibile come erano - (qui lei passa al plurale) - stati coinvolti, non è che si sentissero sofferenti, anzi erano orgogliosi di quello che avevano fatto. Quindi è incredibile perché sono molto, molto giovani”. Benvenuta sul pianeta Terra, signora Carla. La sua argomentazione ricorda un po' i miei esperimenti di biologia: al Liceo, senza capirci nulla, guardavo dentro un microscopio e poi mi inventavo una descrizione delle cellule a malapena osservate da consegnare al prof. Che inorridiva, regolarmente. Troppa fretta, troppe scorciatoie (va bene i tempi televisivi, ma insomma...), troppa superficiale sicumera. Le fornirò, in altra sede, la mia versione dei fatti, e spiegherò perché i ragazzini combattono in Siria (e non soltanto) e perché non siamo di fronte a dei macellai. Siamo di fronte, cara Carla, a esseri umani. I siriani non sono alieni, non sono i cattivi da bacchettare. Non sono allievi ribelli che si prendono a pugni davanti alla maestra. Insistere, al punto in cui siamo, su una descrizione del mondo (quello!) diviso fra buoni e cattivi mette tristezza. Perché, vede, significa non ignorare (perché lei non lo ignora), ma tacere - e questo è grave, ripeto: grave - le responsabilità in campo, gli interessi, le spinte, le furbate, le canagliate, il mare di schifezza che produce una guerra e che una guerra produce. Mi sente?
Seconda domanda: lei ha chiesto, con i suoi colleghi, di entrare in Siria. E, ancora, siete fuori. Siamo seri: le rammento (riferendomi a un mio precedente post) che se lei desidera entrare in Siria lo può fare, come tutti i giornalisti, i medici siriani, i volontari che portano medicine e altri aiuti alla popolazione civile che tutti, inclusa l'organizzazione alla quale lei risponde, hanno lasciato soli. L-a-s-c-i-a-t-o  s-o-l-i. Se volesse entrare in Siria, lo potrebbe fare. Lo fa la CIA, lo fa il Qatar e lo fanno gli altri compagni di merende. Insanguinate. 

Lo fanno gli sponsor d'alto bordo di questa guerra, dear Carla, tutti quanti con le mani at first sight pulite, eppure lorde di sangue: siedono nello stesso organismo che, se non mi sbaglio (e se mi sbaglio sono pronto a rettificare, con le scuse sentite), la paga per la sua inchiesta. Potrebbe entrare, se tanto ci tiene, attraverso la ramina. Perché non lo fa? Perché si accontenta del campo profughi in Giordania? E perché, in questo stesso campo profughi, non registra (o se lo fa perché non ce lo dice?) i crimini commessi contro la dignità umana (dal sistema - occidentalmente tollerato - "campo profughi")? Perché non ci parla dei casi (sempre più frequenti e non soltanto lì) di violenza contro le donne, di cui pure qualcuno riferisce, anche se non connected to the UN, quindi vox clamans in deserto? Perché, scorrendo il dito sul mappamondo, non ricorda la condizione dei profughi siriani in Libano, in Turchia (le cliniche clandestine, le abitazioni segrete, la vita negli scantinati, i feriti lasciati lì per giorni interi e, se operati negli ospedali ufficiali, operati come animali e dimessi subito, perché un posto-letto costa, eccetera?). Come-on, Carla! Perché i profughi, che lei dice di avere visitato (e non ho motivo di non crederle), dovrebbero tuttavia accontentarsi, stando zitti, della solidarietà mediatizzata delle ambasciatrici dell'umano sentire signore Angelina Jolie (Turchia) e Mia Farrow (Libano)? Rispondono, entrambe, agli ordini dell'organismo che l'ha incaricata dell'inchiesta. E' questo, solo questo, quello che sappiamo dare a questa gente? Non la mette, almeno un po', in imbarazzo. Just a little bit?


Indaghi, per inciso, anche sui crimini commessi contro la dignità umana. Noi giornalisti ci proviamo. Chi ci ascolta? Lo so, a lei non piacciono, i giornalisti. Rinvio, di nuovo, in un accesso di protagonismo, a un mio vecchio post, lo trova navigando nel Blog. Do you copy me, Carla? Ritorno al mio ragionamento. Lei ricade nella trappola, che mi sembra la stia tenendo prigioniera dall'inizio dell'inchiesta (è comprensibile: l'organismo a cui lei appartiene è politicamente sponsorizzato e incatenato) e cioè che i crimini vengano commessi da una parte sola. Nell'intervista si è ripresa quasi subito, sollecitata con il velluto, spiegando che i crimini vengono commessi da entrambe le parti. Certo, senza aerei e armi molto sofisticate, ma probabilmente in altri modi. Signora Carla, la legge la stampa? Si fida dei giornalisti? Non credo (rispondendo al secondo interrogativo), ma vede, circolano numerosi rapporti che le permetterebbero di aprire gli occhi su quanto sta succedendo in Siria. E su più fronti. Anche senza entrarci.  Lei ragiona in termini di inchieste, tribunali e sentenze. Va bene, è il suo lavoro. Mi ricorda un commissario da film attaccato alle Marlboro: a furia di fumarne aveva tanta nebbia davanti agli occhi che non vedeva più la realtà che gli stava di fronte. Vedeva soltanto se stesso. E la realtà cominciava a inventarsela. Almeno in parte. Tenga conto, Carla, che questa è una guerra, vera, come non la si vedeva da un pezzo. Ce n'è un'altra, in corso, in un paese che si chiama Mali, e che non ci lasciano fotografare e nemmeno filmare e nemmeno, aggiungo, raccontare. Una guerra occidentale. Qualche soffiata ci sta arrivando: sulle conseguenze patite dai civili, non soltanto per mano degli islamisti, ma anche dell'esercito regolare e delle bombe francesi. Niente? Non si indigna? Nessuna “brutta sorpresa”? Non ancora? Do you copy me, Carla? E poi, saltando tutto il resto dell'intervista (la riprenderò altrove, per ragionare insieme a lei), mi ha colpito un fatto (nessuna "brutta sorpresa", in realtà): lei ha usato cinque volte in tre minuti l'aggettivo “incredibile” riferito alla realtà (parziale) di cui è stata testimone. Ora le chiedo: per lei, che sta cercando la verità, significa che “non ci crede”, che non crede a quello che ha visto e sentito, oppure che non ha altri aggettivi per definirla, questa realtà. Personalmente, propendo per la seconda ipotesi. E la capisco. Il Medio Oriente è una brutta bestia. L'invito, cordiale ma fermo, è quello di continuare a scavare, a viaggiare: ma senza convogli, senza 4x4 blindate, senza guardie del corpo. Così, alla buona, in modo che nessuno la riconosca. Varchi la ramina. Se accettasse, cara Carla, mi piacerebbe seguirla. Insieme, alla scoperta di ciò di cui è capace l'essere umano. Non i siriani, non gli arabi, non i musulmani come maldestramente lei ha cercato di farci credere al TG. L'essere umano. Lui soltanto. Fatto questo, li mandi tutti all'Aja. Non avrà, da parte mia, alcun fuoco di ritorno. La banalità del male si manifesta nel silenzio. Quando le parole sono a cuccia. Quando il nostro ego fa un passo indietro. Allora, gli occhi si spalancano su una distesa anonima e senza fine, popolata da esseri disperati. Rincorsi dagli incubi, dagli istinti, dall'odore del sangue, dalla voglia di libertà e dall'istinto di conservazione. E da chi li sa muovere, questi esseri umani, come marionette, con dentro la testa soltanto il rimbombo della corda pazza. Se le va la ramina, mi chiami, cara Carla. Io, l'aspetto.

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