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Carla Paolini - Installazioni

Da Ellisse

Carla Paolini - Installazioni (fisicità poetiche) - Anterem edizioni / Cierre Carla Paolini - Installazioni (fisicità poetiche) - Anterem edizioni / Cierre grafica, 2015grafica, 2015

Di Carla Paolini ho già parlato brevemente su Imperfetta Ellisse (v. QUI) quasi otto anni fa, a proposito di un suo interessante poemetto intitolato "Elettroshock", e lì parlavo tra l'altro di linguaggio condensato, che "coagula ulteriormente attorno a parole affini o parenti", di "dramma per impulsi", in un travaglio poetico in fondo al quale "rimane una sineddoche di sè, un nucleo indivisibile e irrinunciabile, "una sola parte per il tutto", come, io credo, una decantazione della vita stessa". Rammento queste cose proprio perchè occorre, a mio avviso, ripartire da lì, o meglio ancora partire - che sotto molti aspetti è la stessa cosa - dalla dichiarazione di poetica che apre questo volume. Dice infatti Carla: "La materia di Installazioni non nasce dall' occasionalità degli eventi, ma dall'interesse che improvvisamente una parola mi smuove. Intorno a questo embrione energetico, il pensiero struttura e specializza nuove sintassi. La sostanza espressiva si diffonde, disseminando segmenti come linfonodi messi a difesa delle sue intenzioni. L'organismo poetico addensa fisicità singolari, s'installa sulla pagina e accetta l'urgenza di esistere". Ricordo vagamente che anche Stefano Guglielmin aveva in passato espresso un concetto analogo a proposito del suo lavoro di poeta: l'appunto, anche una singola parola deposta a stagionare su qualche foglietto anche per molto tempo, magari capace poi di generare quasi per partenogenesi l'idea poetica, il testo, la definitiva messa in atto di qualcosa che stava lì, in nuce. E' un aspetto della "ispirazione" che mi ha sempre affascinato e di cui io stesso ho esperienza diretta, una indefinita capacità neoplastica della parola, quasi differente e distinta da una voluntas, che rimanda direttamente alla poiesi del linguaggio, qualcosa che ha a che fare con la psiche dell'autore e forse con il lavoro del linguaggio sul linguaggio, per dirla con Stefano Agosti. E ci sarebbe probabilmente da riflettere anche sul trattamento delle parole come "oggetti", manipolabili o osservabili. Ma inutile andare troppo lontano, fermiamoci qui. Però della dichiarazione di Carla bisogna notare almeno un paio di cose a mio parere importanti. La prima riguarda lo stesso titolo (non casuale) della raccolta, un termine dalle diverse sfaccettature: l'installazione innanzi tutto rimanda  a una precisa categoria artistica concettuale, a un riferimento ad un'arte visiva le cui caratteristiche siano almeno la tridimensionalità e la collocazione in un ambiente, al di là dei mezzi, delle forme e dei materiali (e vediamo poi come questa caratteristiche tentino nella scrittura una loro evidenza); e poi "installazione" è il porre la parola su uno stallo, uno scanno,  (come ricorda acutamente Gio Ferri nella postfazione) ovvero un luogo privilegiato e "religioso", meditativo e racchiuso come negli antichi capitoli monastici, "lasciando fuori dal coro ogni seppur turbato ma freddo sentimento estraneo alla parola..." (sempre G. Ferri). Come si vede, tutto sembra tornare. L'altra cosa deriva direttamente dalla prima e  riguarda il carattere anti-occasionale di questa scrittura (e qui si ritorna al "concetto"), cioè sostanzialmente il rifiuto di qualsiasi ispirazione per così dire "fanciullesca", o emotiva, o sentimentale, sempre a favore di una "durezza" della parola, che è specchio della difficoltà di penetrare la stessa materia di cui è fatta la nostra comunicazione e la realtà circostante, tentando di scoprire cosa (forse) c'è dietro quello schermo illusorio di cui parla Montale in "Forse un mattino andando" (v. QUI). C'è con ogni evidenza anche una ricerca per così dire combinatoria, delle possibilità di scomposizione, ricomposizione ricollocazione dei sintagmi, delle catene sintattiche, pur sempre però a partire da quel "embrione energetico" di cui parla Paolini (ma l'autrice avverte che solo si può "ridisporre ciò che è disponibile"). E c'è, io credo, un meccanismo associativo, legato non tanto ad assonanze o ad assimilazioni linguistiche o a "giochi" (ma l'autrice raccomanda: "date voce / al filare aspro delle polifonie") quanto a un filo rosso da ricercarsi a livelli più profondi, a un sistema metaforico di tipo cognitivo in cui agiscono più profonde "culture", forze più nascoste. Ma anche, aggiungerei, alle probabilità metamorfiche, virtualmente aperte,  di sostituzione senza danni, che questo tipo di scrittura offre anche a chi legge. Naturalmente gli estimatori della scrittura automatica o effusiva, quella in cui l'autore è un medium o una Pizia delegati dalla Poesia, dovranno mettersi l'anima in pace. Qui, non ostante il casus che sembra muovere il meccanismo, non c'è molto lasciato all'arbitrio. O almeno niente che poi non sia regolarmente riportato all'ordine, a un suo intimo significato. E se c'è una piccola contraddizione negli intenti di Carla caso mai sta qui, nella impossibilità oggettiva, direi tecnica, di realizzare quella "urgenza di esistere" dell'organismo poetico di cui lei parla, un concetto che sta tra l'idea romantica di una poesia vivente, pre-esistente e quella michelangiolesca dell'opera che c'è ma deve essere estratta a colpi di scalpello. Il registro è semmai quello che Gio Ferri  chiama un "raro distacco formale". Che a livello di stampa (e qui si torna al discorso di dimensionalità e collocazione dell' installazione) si esplica anche come tipizzazione grafica (corsivi, grassetti, diversi corpi carattere) e interazione spaziale con la pagina bianca (versi non-versi, spezzature, stacchi, diversi tipi di giustificazione), alla ricerca insomma di una consistenza materica (e il sottotitolo è infatti "fisicità poetiche") che naturalmente alla parola non è data. Come noto, raramente le dichiarazioni di intenti, specie in poesia, conseguono l'obbiettivo prefissato. Direi però che in questo caso Paolini, partendo con  un'idea chiara in mente, con un programma (e anche con la curiosità di vedere dove l'idea va a parare), riesce egregiamente a  costruire una specie di lessico di base che funge da innesco o scandaglio se si vuole, come un sasso gettato nello stagno. E anche se talvolta "quando cade / è un sasso che non solleva spolveri d''acqua" (segno di un deserto dell'esistenza, dei rapporti, etico che tuttavia deve essere investigato) è un tentativo irrinunciabile che il poeta, per sua natura, deve fare. O tacere, diventare pietra installata in quel deserto. (g.c.)
PATEMI
patemi per voce solista
   paturnie notturne   impacci
cosine smorte   lasciate sul palmo
come strisciature ai blocchi di partenza
   seguono le trombe in sordina
   radunate nei poteri familiari
   sono fluttuazioni in fronte alla prevalenza


   a volte qualcuno si scavalca
   guarda lontano
   zero attimi dopo ricomincia a morire

UN'INTESA

un'intesa regolare
   non è detto che abbia delle ragioni
quando si associa al realismo ingenuo
per tenere in ordine   i suoi materiali

   non è indispensabile la reciprocità

   nessuno pretende scambi vitali

   né si richiedono reazioni palpitanti

     per simulare consciamente
   basta atterrare nel reparto adiacente
   dove si svende amabilmente
IL MIRAGGIO

- il miraggio -
   va   assaporato   fra due trattini
   gustato sotto foschie innevate


non insistiamo per avere contatti
la sua distorsione non è per condividere

   getta un cenno improvviso di presenza

   prospetta le sue simbiosi
   al fondo scivoloso del tempo
   può apparire in via eccezionale
   anche   in punta all'albero di natale
NON LASCIATEMI

non lasciatemi solo a NY
salvatemi dalla sindrome della bellezza

da questa turbativa   illiberale
   che giganteggia impunita in fondo all'orizzonte

squarciata da sbalzi che hanno campo
  nell'inciso   dell'affaccio

incomprensibile proposito di declinazioni
miracolante aggressione costruita in abisso

   fate che la sua voce non intoppi
   le mie distaccate presunzioni europee
TI STAI

ti stai centrifugando per perdonare
   ma l'offesa è materia lavica
   con ceneri di ricaduta
contaminate dall'impronta

   è un cono di trame brucianti

serbate fra la pomice inconsunta
   che forma il calco e la sua ripetizione

   superflua l'altra guancia
   per promulgare giustificazioni
giostrate solo dietro sipari sedativi
AL PUNTO

al punto esteriore           piacciono i giochi
   gli piace l'unirsi nelle piazze

ha una passione per l'eccesso turbinoso

le roteazioni
   gli scambi che sgusciano dall'arco palpebrale

   cura le imbronciature di sobbalzo
   nega la dottrina dei corpi non allenati
   segnando le loro falle col bianchetto

   nei giorni di festa si veste solo
   con uno spicchio di luna sulla spalla
QUANDO

   quando arriva un sintomo a sorpresa

   non è detto che la diagnosi sia infausta
dietro la targhetta del camice
l'analisi può rintracciare
   appigli per una scoperta fascinosa
audacemente d'accesso
   che scarti l'incontro di dolore

   o offra
   propensioni lusinghiere composte su misura
   per indagini intenzionali cognitive
SCEGLIERE

scegliere il movimento sull'immobilità
   sembra un innesto contro lo sterile

   uno scandaglio
   connaturato a reazioni di passaggioù

   ogni singola persuasione
per implacabile processo di spostamento
   plana su aree tematiche non coincise

avvertite nel crepuscolo della retina
   come moti in fuga da una meteora
che sta collassando in sé


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