Carlangelo Mauro, IL GIARDINO DEI PASSI, Archinto 2012
Sto raccogliendo poetiche in forma di versi e questo testo mi interessa:
c’era una volta la poesia
quando la stanza buia
era piena
del gioco della memoria
c’era perché senza barare
la toccavi con mano
adesso hai bisogno di lenti
grosse talmente da vedere
solo quelle.
p. 15
Sono versi che risuonano con questi:
è già morta da tempo
l’impronunciabile
e con essa non muore il mondo.
p. 13
…ma, insomma, apparecchiano una gentile polemica intorno alle parole e all’uso che se ne fa in poesia, per chi legge e per chi scrive. Si legga, ad esempio, ciò che non fa, purtroppo, la scuola:
a scuola la giovane Carla
sempre sorride e traspira
gioia quando legge
solo un’ombra le vuota profonda
l’anima quando l’insegnante
nella casella le affibbia
il numero
p. 17
O le metamorfosi che avvengono negli uffici:
il tavolo pieno di lettere
dell’alfabeto e trasmissioni,
gallerie lunghe nella roccia
strane metamorfosi
delle creature
nelle ore
e infine le lasci
alle loro vocali tradite
p. 16
Per dire che abitiamo un mondo dove la parola è ridotta a un puro intrattenimento, a gioco specializzato, a pratica di riempimento. Grazie a Dio, però, c’è una logica sotterranea nelle parole, non iscrivibile a nessun compromesso:
«le interrogazioni su Omero
si dovevano fare alla cattedra»,
la distanza era un’inesattezza
calcolata in centimetri
ma le parole dell’uomo
astuto arrivavano lo stesso
sgombre di sapienza
l’antico viaggio era stato
verbalizzato
p. 18
…e neppure ad alcuna matematica – questo è il suo mistero, perché nulla, tranne l’arte, sfugge alla giustizia tremenda dei numeri -
tutto ciò che si doveva dire
sull’anima della poesia era
una nuova fisica dei quanti
o i resti decimali delle somme
p. 19
Questo libro, insomma, si apre con la scuola, con la poesia pronunciata e scorticata nella scuola, sottoposta alla mannaia della diversificazione, perché, per la scuola, solo diversificando la poesia può essere compresa.
Ma il poeta capisce che questo non basta, che qualcosa sfugge al senso stesso, persino alle stesse intenzioni di chi scrive. Questa consapevolezza, a ben pensare, è un atto fondante perché nella sezione successiva del libro in cui irrompe la Storia, le parole diventano strumenti di sopravvivenza:
nel ’43 per strada
in pericolo di salire
sui camion
per un viaggio senza ritorno
fu il caso – una dei Contieri
che parlava tedesco
studiò le attente parole
quelle che non so ripetere
che valgono una vita
senza essere mai scritte
p. 25
Soprattutto mi piace segnare a matita questi versi bellissimi: “la pietra dove mio padre / leggeva”.
La pietra: vera scuola, vero banco, lontano dalla scrivania e dal computer; e ciò che nei testi antichi ci sembrava lontano, “nelle frasi di latino alla lavagna / così rassicuranti e perfette / quand’anche parlavano di stragi e uccisioni”, diventa, nel nostro presente, il dolore della malattia e della separazione, la consapevolezza che, ciò che è scritto nella poesia è scritto per noi, per la nostra personale restituzione.
Così il libro, in larga parte, è un canzoniere per la scomparsa dei propri cari, crudele, perché crudele può essere la vita, e necessaria, perché necessaria deve essere la parola. Ma anche con passaggi leggibili in forma di fabula, di romanzo di formazione.
Un’immagine, fra tutte, vorrei isolare, che assume anche connotazioni metaforiche, e cioè quella della scomparsa della voce, della sua “cordectomia”; ma anche di una voce che giunge “di là”, che bisogna saper capire, indagare con le formula magiche della sillabazione.
E poi quella ricorrente dello Sterminatore, il grado zero della scrittura, certo, ma solo per noi stessi, non per gli altri, troppo impegnati nel compito della catalogazione e dell’archivazione, si veda la sezione “Ritrovamenti” in cui, fra tutte le ossa osservate nel gesto della cronaca, emerge con una bella intuizione “io”:
detriti e campioni di terra
codici di sottili linguaggi
la morte chiusa
in una teca
sono io sotto gli occhi
dell’ameno visitatore
p. 73
“Proteggere il suono delle parole”, dice a un certo punto Carlangelo Mauro, “la giusta misura delle cose”, ed è ancora un insegnante che parla, un insegnante vero. Il cerchio si chiude, e la poesia è restituita alla sua misura, a una onestà che mai tradisce.
Sebastiano Aglieco
***
Alla prof.ssa E. Confetto
(1920-2003)
ero sorpreso del tuo atteggiamento
compunto della forma
- considerata la tua professione
la giusta misura delle cose -
una volta martire fedele
fui il solo presente
ma tu fedele ai tuoi libri
ingialliti mi parlasti,
una sera che ti trovai sola
e vedova del lumicino,
di quella luce che Foscolo
e Leopardi buon’anime
inseguivano
ora sto qui
a imbrattar fogli:
il lume si è spento
e anche lo stoppino
e le anime dei morti
riposano in pace
p. 83
***
scrivere una storia
di fiati e di ombre
di sentieri e di erbe d’animali
come erano dopo il muro
e il giardino
nella casa di campagna
in quel che resta
dove siamo passati una domenica
non si buttava niente
neppure il fiato
ci penso spesso
come un’eccezionale scoperta
una lenta discesa
nel nuovo cuore del mondo
al ritorno da quella strada
mi segue il battito
d’acciaio
mille al minuto
e il capogiro delle luci
mi dice il sangue
tutto quello che fiorisce
le nostre siepi
sono i loro rovi
p. 81
***
Nino mio nonno
camminava
negli ultimi anni
come ora mia madre
per un accidente cerebrale
tra le piante
del giardino
che resistono.
p. 61
***
l’immagine ti mosse nel magma
un rapido passaggio in tre
davanti San Guido (le piante
malate venivano sostituite
per un ordigno)
e ti adombrasti
nel vedere il verde
tra i denti aguzzi
delle scavatrici
ma ti venne intera
tra le labbra la poesia
e con gli occhi
mi significavi gli accenti
in una lingua solo tua
p. 59
Regressione
eri tornata bambina
pronta a sillabare un tenero
« ma…ma» universale
ad ogni soffio di vento
ad ogni inquietudine
non c’era più spazio
per inutili ragionamenti
il freddo per l’arsura
era come Proust
un piatto gradito sgradito
il paradiso o l’inferno
per me eri un’altra mamma
un altro triste mistero
cui rimanere allegramente
attaccati
p. 38
***
il dolore ti schiaccia
e il sangue nel collo
in maligne tumefazioni prolifica
se la parola colpevole ti è tolta
- cordectomia non sembra
un suono terribile -
dopo una vita di -«sano
e santo lavoro»
la tua scrivania stracolma
di fogli utili che non so
capire, di chi ti chiede
l’ultimo decreto scolastico
o una conferenza per beneficenza
solo m’è dato lo sproloquio
del nulla e l’impossibilità
di salvarti
p. 40