Gadda (Milano, 1893 – Roma, 1973) scrive questi testi tra il 24 agosto 1915 e il 31 dicembre 1919. L’autore viene da una famiglia della borghesia lombarda, si identifica col convinto patriottismo e con i valori concreti del proprio ceto. Partecipa come volontario al conflitto (negli Alpini), sentendo una sobria avversione per l’autoritarismo austro-ungarico.
Il suo diario è preciso; annota date, località e perfino il luogo di acquisto dei quaderni. Edolo, Vicenza, Asiago e i monti intorno a Caporetto sono le principali zone in cui opera. Le annotazioni sono arricchite da un grande spirito di osservazione dei posti e delle persone; non mancano schizzi e disegni. Vivissima è la sensibilità dello scrittore che non esita a sottolineare la propria umoralità, il senso di tedio di tanti momenti, il fastidio verso le bassezze dell’ambiente in cui si trova. L’uomo e il soldato si intrecciano nella scrittura; troviamo così le relazioni non sempre facili con i commilitoni, l’amore per la lettura, la vita nelle trincee, la cura nello svolgere le proprie mansioni, civili o militari che siano. Una certa amarezza si mescola a un senso di “accidia”, un insieme di mancanza di volontà e di indignazione davanti a tante storture: “Gli egoismi schifosi, i furti, le pigrizie, le viltà che si commettono nell’organizzazione militare … attristano, avvelenano anche i buoni, anche i migliori, i più forti: figuriamoci me! Molte volte cerco di non vedere, di non sentire, di non parlare, per non soffrir troppo”.
Elogia lo spirito di sacrificio dei suoi uomini, mentre non sopporta i lavativi e gli imboscati che vede già pronti a recitare un ruolo da eroi a guerra finita. Altre amarezze vengono dal constatare la povertà dell’equipaggiamento dei soldati e allora Gadda non si trattiene: “Quanta abnegazione in questi uomini sacrificati così a 38 anni, e così trattati! Essi portano il vero peso della guerra … Quanto delinquono coloro che per incuria o per frode li calzano in questo modo”. Da giovane tenente analizza con cura le ragioni dello scarso successo degli attacchi italiani alle trincee austriache, trovando una conferma alle sue conclusioni anche da parte di alcuni ufficiali nemici fatti prigionieri.
A queste note più militari, si accompagna il pensiero della madre e del fratello Enrico (“la parte migliore e più cara di me stesso”), impegnato nell’aviazione e purtroppo destinato a morire nella guerra.
Poi avviene il disastro di Caporetto; lui e i suoi uomini si trovano intrappolati e devono arrendersi, dopo aver reso inservibili le armi. Nella cattura perde una parte dei suoi preziosi diari. I mesi seguenti in Germania sono durissimi. La condizione di prigionia è sentita come profondamente umiliante. Si rifugia nella lettura, nello studio del tedesco, nei rapporti con quei compagni che non cedono all’abbrutimento della situazione. La descrizione di questo lungo periodo è zeppa di sofferenze, aggravate dagli abusi dei carcerieri e dalle scarse notizie sull’andamento del conflitto; c’è il timore di subire il disprezzo dei connazionali per non aver saputo fermare il nemico.
Al ritorno a Milano, c’è la ripresa degli studi accompagnata dalla ricerca di una difficile serenità familiare. Gadda, sensibilissimo ma pieno di risorse, saprà riprendersi e diventerà “Gadda”, ingegnere e scrittore, autore di alcuni capolavori letterari del Novecento italiano.