Carlo Lizzani e Giovanni Berardi
Mettere insieme la filmografia di Carlo Lizzani significa anche raccontare l’Italia, la sua storia e la sua politica, oltre che il cinema italiano nella sua poliedricità e nella sua politica culturale. In questo contesto Carlo Lizzani è davvero un regista da consigliare alle scuole per una seria proposta alternativa alla formazione scolastica consueta. Con buona parte della filmografia di Lizzani si può riconoscere al cinema la sua funzione dottrinale, e sempre attraverso lo strumento e la grammatica dello spettacolo, indispensabile affinchè il cinema resti se stesso. Citiamo solo qualche titolo, da questa filmografia, tanto per essere più chiari: Achtung! Banditi (1951), Cronache di poveri amanti (1953), Il gobbo (1960), Il processo di Verona (1963), L’amante di Gramigna (1968), Mussolini, ultimo atto (1974), Fontamara (1980), ma anche Caro Gorbaciov (1988), per riuscire a comprendere davvero le ragioni della fine del comunismo nel mondo ed Hotel Meina, 2008, che racconta la prima strage di ebrei compiuta in Italia dopo l’armistizio dell’otto settembre sulle sponde del lago Maggiore, dove era situato, appunto, l’hotel Meina.
Dice Lizzani: «Ho fatto quest’ultimo film, Hotel Meina, perché il cinema, come la scuola, ha il dovere della memoria». Queste sono pellicole che hanno dato davvero allo spettatore un quadro spietato e scandito della situazione sociale e politica di definiti periodi storici del novecento. Ma non è questo il Lizzani che oggi abbiamo in animo di considerare. Carlo Lizzani lo abbiamo incontrato a Fondi, alla mostra fotografica denominata “La terra del cinema”, allestita come appendice al recente FondiFilmFestival 2010, fiore all’occhiello, come si dice, della associazione culturale dedicata al regista Giuseppe De Santis (1917-1997), una bella mostra di fotografie esclusive a documentare i tanti set cinematografici allestiti nel sud pontino. Lizzani a Fondi è ormai una presenza continua, e da qualche anno il comune gli ha anche riconosciuto la cittadinanza onoraria. Fondi è la patria del regista Giuseppe De Santis, uno dei padri storici del neorealismo, e Lizzani è stato uno dei suoi allievi e storici collaboratori, insieme ai futuri registi Gianni Puccini ed Elio Petri. Con De Santis, Lizzani ha collaborato alla sceneggiatura di Caccia tragica (1947), di Non c’è pace tra gli ulivi (1950), ma soprattutto di Riso amaro (1949), ormai storico capolavoro del cinema neorealista, uno dei titoli che, insieme alla triade di Vittorio De Sica, Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Umberto D (1952), Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di Roberto Rossellini, Ossessione (1943) e La terra trema (1948) di Luchino Visconti, Sotto il sole di Roma (1948) di Renato Castellani, Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi, possono commentare in pieno tutta quella immensa stagione e quella importante corrente culturale. Riso amaro è un film che Lizzani prende sempre ad esempio per interpretare storicamente il periodo del neorealismo e, per continuare ad indagare sul movimento, diventato all’epoca un fenomeno culturale popolare, ha anche scritto un libro, edito dalla casa editrice Bulzoni nel 2009, “Riso amaro. Dalla scrittura alla regia”. Certo l’esperienza con De Santis sarà stata, per Lizzani, allora giovane critico cinematografico, oltremodo fondamentale. Lavorare con De Santis significava incontrare e frequentare personalità importantissime del cinema, della cultura, della politica, significava conoscere il regista Michelangelo Antonioni, il poeta Libero De Libero, gli scrittori Corrado Alvaro, Cesare Zavattini, Mario Alicata, Massimo Mida Puccini, il pittore Domenico Purificato, puri intellettuali come Antonello Trombadori e come Pietro Ingrao, diventato dopo un politico stimato ed autorevole. Lizzani ricorda ancora quando la Lux, casa di produzione di Riso amaro, una volta approvata l’idea del film, lo mandò insieme a De Santis nel nord Italia, nelle risaie del Vercellese, a fare un inchiesta sulle mondariso. Tornati a Roma, ricchi di notizie e di conoscenze, De Santis e Lizzani prima stesero l’intero trattamento particolareggiato e realistico del film dal soggetto originale e poi la sceneggiatura filmica, coinvolgendo altri sceneggiatori come Corrado Alvaro, Ivo Perilli, Carlo Musso, Gianni Puccini. Era questo il cinema neorealista. Ormai sono innumerevoli le volte che il regista si è soffermato a Fondi per portare la sua esperienza professionale nelle tante manifestazioni di cinema e di cultura organizzate dall’associazione “Giuseppe De Santis”, di cui Lizzani è il presidente fin dalla prima ora.
Carlo Lizzani ha iniziato la sua carriera nel cinema negli anni quaranta come critico cinematografico nelle riviste “Bianco e Nero” e “Cinema”, tuttora è un critico autorevole, e in questo ambito ha scritto parecchi testi importantissimi per il settore, tra cui una “Storia del cinema italiano”, più volte riattualizzata nel tempo, un testo fondamentale ormai per chi si occupa della settima arte, e “Riso amaro. Dalla scrittura alla regia” è solo l’ultimo suo testo pubblicato; è sempre stato un fervente attivista nel campo della politica e dello spettacolo. Inoltre, in qualità di direttore del settore cinema della Biennale di Venezia, ha curato la mostra dal 1979 al 1982. A Fondi è stata appena premiata con il Dolly d’oro “Giuseppe De Santis”, proprio da Carlo Lizzani, la giovanissima regista Susanna Nicchiarelli per il suo film d’esordio, Cosmonauta (2009).
«I talenti italiani giovani come vediamo ci sono – dice Lizzani – la Nicchiarelli è senz’altro una di questi, ma ci sono anche Ozpeteck, Giorana, Martone, Moretti, Sorrentino, Garrone, Luchetti, Piccioni, Soldini, e te ne ho fatti di esempi, però c’è qualcosa che a loro non capita, o non sono capaci a farlo capitare, cioè fare massa culturale, l’alleanza». Certo, però, noi diciamo che questi non sono più i tempi di cui parla Lizzani, non c’è più quel terreno ideologico su cui le giovani generazioni di registi e sceneggiatori potevano poggiare, felici e fiduciosi, tali complicità comunicative. Ma crediamoci, sono state proprio quelle alleanze, quei taciti consensi, quella massa, allora possibile, di cui parla Lizzani, nel grande cinema italiano degli anni cinquanta, sessanta, settanta, che hanno dato benzina alla costruzione dei movimenti culturali del cinema, primo fra tutti quello del neorealismo e quello della commedia all’italiana. Ma anche tutto il grande cinema di genere italiano, cresciuto soprattutto negli anni settanta, assolutamente da non sottovalure.
Lo stesso Lizzani ha portato la sua esperienza di autore nel cinema di genere realizzando opere che hanno semplicemente divertito, commosso, appassionato, esaltato, le platee. Dice Lizzani: «Si, infatti. Io, ad esempio, ho fatto cinema non solo perché mi piaceva narrare i grovigli di carattere storico-politico, ma anche perché volevo costruire l’azione, un’azione sempre legata però al contesto sociale italiano, con un sottofondo sempre realistico e sociologico specifico, vedi ad esempio il mio film su Lutring, Svegliati e uccidi (1966), oppure quello sulla banda Cavallero, Banditi a Milano (1967), ma anche Barbagia (La società del malessere) (1969), sui sequestri di persona in Sardegna. Poi sulla loro scia, ma anche dal successo commerciale de La polizia ringrazia (1972) di Stefano Vanzina è nata in Italia una serie sterminata di pellicole che ha dato origine ad un ulteriore movimento, quello del “poliziottesco italiano”». Infatti, ribadiamo, i grandi successi popolari dei film, soprattutto di Banditi a Milano, come è stato anche ampiamente rivelato dalla critica dell’epoca, è venuto proprio dalla forza e dalla spettacolarità delle scene d’azione presenti in gran quantità nel film. Poi il grande successo del genere western, che da Sergio Leone in poi aprì la strada ad un altro micro movimento culturale del cinema italiano, diede la disponibilità a Lizzani di fare esperienza e, soprattutto, di lavorare, anche in quel settore. Ricorda Lizzani: «Il mio western è senz’altro un episodio minore, questo almeno in un caso. Feci ad esempio nel 1966 Un fiume di dollari che non aveva molte pretese in preventivo; lo feci per dei motivi anche molto seri, umani: uno personale, legato proprio allo stipendio, ed uno per il produttore Dino De Laurentiis, per ripagarlo di avermi fatto fare, in tempi davvero molto difficili, film come Il gobbo e Il processo di Verona. Invece, nel secondo western Requiescant (1966) alzai un po’ il tiro, nel senso che mi sono servito della cornice western per una storia con ambizioni più vicine al mio senso di riflessione della storia e della politica. Requiescant ancora oggi lo riconosco di più tra i termini della mia filmografia». C’è da aggiungere che, senz’altro, la presenza nel cast di Pier Paolo Pasolini mutò la prospettiva del film e lo fece amare molto anche da un pubblico più adulto e più ricercato. Pasolini era già uno scrittore affermato e piuttosto temuto dal sistema di potere, finanche un regista noto e sicuramente scomodo per il cinema italiano più in generale. Nel cinema di Lizzani, non solo Banditi a Milano, Svegliati e uccidi, Barbagia (La società del malessere), ed il western, genere proprio per antonomasia, rientrano a pieni meriti nello sterminato mondo del miglior cinema di genere, ma anche altri buoni titoli: Il carabiniere a cavallo (1961), Thrilling (1965), Roma bene (1971), Torino nera (1972), Crazy Joe (1973), Storia di vita e malavita (1975), San Babila ore 20: un delitto inutile (1976), Kleinhoff Hotel (1977), La casa del tappeto giallo (1983).
Dunque Lizzani ha raccontato la storia e la società italiana nel cinema con l’arguzia dello storico, ma sempre, in primo luogo, con la passione del regista cinematografico, raggiungendo livelli alti e bassi, sempre considerando il variare degli stili che nel tempo inesorabilmente progredivano, senza trascurare nemmeno il susseguirsi delle mode, quasi ‘gossippare’, e tenendo conto anche del divismo, che, in qualche maniera, è sempre la linfa del cinema. Non dimentichiamo, a questo proposito, la semplicissima, quasi leggera, genialità di Lizzani quando ha usato, come attori, cantanti importanti all’epoca della produzione di alcuni suoi film: Nicola Di Bari ad esempio, scelto quale protagonista di Torino nera insieme a Bud Spencer, un attore, quest’ultimo, sino ad allora eroe dello spaghetti western e del cinema divertentissimo delle sberle, e poi di Don Backy, cantautore tra i più noti, famosissimo per le sue belle canzoni, regalate anche a Mina e ad Adriano Celentano, in film come, appunto, Banditi a Milano ed anche Barbagia (La società del malessere), film quest’ultimo in cui Don Backy faceva coppia con Terence Hill, un altro divo dello spaghetti western. Giuseppe De Santis, il maestro, diceva: «Un film deve essere compreso tanto da un bambino quanto da un uomo grande, tanto da un contadino della mia Fondi, quanto da un operaio di Sesto San Giovanni e non soltanto dal socio di un cineclub, o dal tale altro critico o da quel tale e tale intellettuale».
Giovanni Berardi