A Monza...
CARLO SPIGA - MAKIKA a cura di Andrea Lacarpia
Galleria CART - Via Sirtori 7 - Monza
Inaugurazione: sabato 1 Dicembre 2012, dalle 18.00 alle 21.00
Durata della mostra: dal 1 Dicembre 2012 al 31 Gennaio 2013
Orari di apertura: dal martedì al sabato 15,30 - 19,30
COMUNICATO STAMPA:
“Makika” è il titolo della mostra personale che Carlo Spiga presenta
negli spazi della Galleria Cart proponendo la sua più recente produzione
con installazioni, suoni e una ventina di lavori della serie “ They
Live!”.
Nella prima sala viene proposto quasi un hortus conclusus
costituito da due basse pareti in mattoni forati che si intersecano
creando una zona separata, quasi protetta, che invita alla sosta. Lì
infatti sono disposti alcuni cuscini sui quali adagiarsi per ammirare da
vicino le opere delle serie “They Live!” collocate sulle pareti a
mattoni grezzi dell’istallazione, mentre una musica composta da suoni
reiterati e profondi, propri dell’espressione musicale primitiva e
popolare, si diffonde nell’ambiente.
“They Live!” : accumuli di
sagome di carta di figure umane acefale recuperate da vecchie riviste e
trattenute insieme da oggetti di scarto, talvolta rotti, che
riconquistano nuova vita e dignità con una differente funzione.
Come
puntualmente rileva Andrea Lacarpia, curatore della mostra, nel testo
che accompagna l’esposizione “il suono è elemento centrale anche della
seconda istallazione, costituita da un aspirapolvere posto in piedi su
un podio decorato come gli edifici sacri dell’Asia centrale. Data la
posizione ieratica all’interno della sala … l’installazione assume una
valenza totemica.
L’aspirapolvere, collegato ad un modulatore che
riduce l’apporto di energia elettrica, e attivato da un sensore, produce
una melodia simile all’antico canto difonico Kargyraa, armonia vocale
ottenuta con una particolare tecnica … come strumento preferenziale per
la comunicazione con gli spiriti della natura. Il rumore dell’oggetto in
funzione … diventa un canto sacro che immerge in uno spazio
contemplativo, inaspettatamente ottenuto attraverso uno dei più noti
simboli della civiltà dei consumi.”
“Carlo Spiga nella sua ricerca
rilegge diverse forme della tradizione, intesa come trasmissione di una
eredità culturale, accostando e amalgamando contemporaneamente
situazioni attuali e lontane nello spazio e nel tempo.”
Makika è il
nome dato da Carlo Spiga alla sua chitarra, acquistata in un mercatino,
che l’artista porta sempre con sé in ogni suo viaggio, reale o
immaginario.
info:
galleria cart srl
via sirtori, 7
20900 monza
martedi-sabato : 15,30-19,30
tel/fax 039.329101
www.galleriacart.com
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TESTO CRITICO
Portare la coscienza al passato, ai propri antenati e alle tradizioni
ad essi collegate è divenuta impresa ardua, dopo secoli di cieca fiducia
nella ragione che, guardando all'evoluzione in termini di praticità, è
sempre volta al progresso. Il rifiuto del passato, accompagnando la
società dei consumi e dell'economia di mercato, ha fatto in modo che si
rompesse il collegamento tra l'uomo e la dimensione trascendente,
mistica e irrazionale, in favore di un'ideologia legata alle
oscillazioni dei valori economici. Secondo Jung le patologie psichiche
dell'uomo moderno sono in gran parte dovute alla rimozione della
dimensione spirituale che, dal punto di vista psicologico, è
sublimazione della libido tradotta negli archetipi dell'immaginario
simbolico: quando la cieca fiducia nei confronti della ragione
diminuisce, fioriscono i tentativi di ristabilire il contatto con la
spiritualità, evitando i codici religiosi e recuperando l'aspetto
mistico delle origini.
Le rivoluzioni degli anni sessanta del
Novecento hanno alimentato un diffuso interesse nei confronti delle
esperienze mistiche, collegate all'utilizzo di sostanze psicotrope,
dirette e non mediate da dogmi religiosi o ispirate da antiche
tradizioni sopravissute in Asia e Sudamerica, visti come luoghi non
ancora travolti da istanze consumistiche. Se in quel momento storico era
messa in discussione la morale di una società dipendente
dall'industrializzazione attraverso meccanismi più o meno occulti, oggi
la presa di coscienza della fine del sistema capitalista, passato dalla
produzione alla speculazione finanziaria tout court, ha rimesso in gioco
le regole sociali stimolando la riscoperta dell'interiorità e dei
valori immateriali. Come fu nelle avanguardie e nelle neoavanguardie del
Novecento, in questo clima molte esperienze artistiche sembrano voler
ribadire la propria indipendenza da ogni scambio razionale prestabilito,
aprendosi alla sperimentazione senza le proteste dagli evidenti intenti
sociali proprie delle generazioni precendenti, in una dimensione
raccolta e rallentata.
Nella sua ricerca Carlo Spiga rilegge
diverse forme della tradizione, intesa come trasmissione di un'eredità
culturale, accostando e amalgamando contemporaneamente situazioni
attuali o lontane nello spazio e nel tempo. Elemento ricorrente è il
suono utilizzato per accedere ad una dimensione rarefatta, uno stato
trascendentale che l'artista rileva nei riti di popolazioni remote, in
cui si tramandano usanze ricorrenti, ma anche e soprattutto in alcuni
aspetti della quotidianità dell'uomo occidentale, nei quali sopravvive
la civiltà popolare che ha anticipato l'avvento della modernità.
La
vita nei paesi Sardi meno noti e lontani dal folkclore turistico, nei
quali è facile vedere gli scorci d'edilizia spontanea e disadorna che è
stata recentemente oggetto di ironica catalogazione con la definizione
di non finito sardo, ispira la prima installazione nella quale l'artista
simula un piccolo giardino domestico, rustico e sacro nello stesso
tempo. Due basse pareti ad angolo, formate da mattoni forati
sovrapposti, creano una zona appartata che invita a fermarsi,
all'interno della quale è posta una piccola colonna formata da vari
elementi di recupero sovrapposti: una cassa per il trasporto delle
bottiglie in vetro di una ditta scomparsa omonima dell'artista, sopra
alla quale più cuscini foderati con tessuti decorati suggeriscono un
possibile utilizzo come sedute. Nel riuso e adattamento, propri della
casualità che l'artista sembra elevare a stile, è evidente la volontà di
suggerire il clima delle feste di paese, nelle quali l'abolizione di
una forma prestabilita porta all'estrema caratterizzazione del rito e
della sua partecipazione, in cui portare una sedia da casa risulta uno
dei segnali più ricorrenti.
Volendosi sedere per terra, si possono
osservare da vicino le opere della serie They Live!, posizionate sulle
pareti provvisorie in modo da suggerire masse di vegetazione spontanea.
Ogni opera di questa serie è formata da innumerevoli e sottili sagome
umane senza testa, ritagliate da riviste e tenute precariamente insieme
da elementi di recupero ogni volta differenti, come parti di legno o di
plastica, che aggiungono una forza scultorea. Il rumore visivo della
società dell'immagine viene trasformato dall'artista in forme
arborescenti senza identità, variopinte ed effimere come decorazioni
nelle feste paesane. La fusione di attualità e tradizione, nell'angolo
di un piccolo paradiso personale, viene accentuata dai suoni diffusi:
classici di Death e Black Metal rielaborati in sonorità acustiche simili
ai toni grezzi e conviviali del canto a chitarra sardo. Gli echi epici
del Metal incontrano la musica popolare, con la quale hanno in comune i
suoni cavernosi e ripetitivi tipici del linguaggio musicale arcaico che
accompagna festeggiamenti ed evasioni dalle incombenze della
quotidianità.
Il suono è elemento centrale anche della seconda
installazione, costituita da un aspirapolvere posto in piedi su un podio
decorato come gli edifici sacri dell'Asia centrale. Data la posizione
ieratica all'interno della sala, nonostante la familiarità
dell'elettrodomestico prodotto in serie, l'installazione assume una
valenza totemica.
L'aspirapolvere, collegato a un modulatore che
riduce l'apporto di energia elettrica, e attivato da un sensore, produce
una melodia simile all'antico canto difonico kargyraa, armonia vocale
ottenuta con una particolare tecnica, tramandata ancora oggi nella
repubblica centroasiatica di Tüva come strumento preferenziale per la
comunicazione con gli spiriti della natura. Il rumore dell'oggetto in
funzione, conosciuto come uno dei più fastidiosi della nostra
quotidianità, trasformato mediante un semplice rallentamento, diventa un
canto sacro che immerge in uno spazio contemplativo, inaspettatamente
ottenuto attraverso uno dei più noti simboli della civiltà dei consumi.
La ricerca dell'armonia in una dimensione intimista e quieta accompagna
Carlo Spiga in ogni viaggio, reale o immaginario, intrapreso sempre con
Makika, la chitarra acquistata in un mercatino e battezzata con lo
stesso nome di uno storico tossicodipendente di Sestu, città dove
l'artista è nato, portando costantemente con sè una porzione di leggenda
paesana, come un giardino interiore da tramandare e proteggere.
Andrea Lacarpia