© Pasquale Urso: Gallipoli (Incisione)
Carmelo Scorranoarbate lisce ricordi salmastri
E’ la lingua della sua terra, ruvida, scabra e petrosa, la lingua della realtà, della concretezza e della durezza, talvolta spietata, tal altra commossa. Poesia, la sua, che è come un’onda di mare che sbatte sulla scogliera e riporta nella memoria la nassa, la rete, i pisci: “lu calamaru, lu purpu e la seccia, lu rizzu, la cozzapenna, li cupiddhi“, e, insieme, l’onda di risacca, la tramontana e il libeccio, lo schianto dei tramonti; le spine de lu rizzu e quelle dei fichi d’india, il sangue rosso del papavero, la musica aspra che fanno gli ulivi, la tamerice devastata, l’oleandro amaro, il pittosforo odoroso, le canne al vento.
Un ricorrente sogno notturno d’armonia e di comunione, una carezza che si scontra con la sua ascia, la mazza snudata che è lotta, sopravvivenza, talora sopraffazione, sempre un’ansia smodata che lo rode, ansia di affermarsi, di espandersi, di essere potente come una furia, di far esplodere la tempesta del suo sangue. C’è in lui tenebra e luce, il falco e la colomba, la spada e la preghiera e quell’oscura ferita non rimarginata che si aprì in quell’altro io arcaico, violento e funereo di Carmelo, quell’io che abita la sua terra di rocce e tufi, la sua terra circondata dal mare. E’ un lemure insonne che gli viene a far visita nelle notti senza luna, quando ” scurisce”, titolo di una poesia e di una silloge.
Non sappiamo perché la Musa sia andata a trovare proprio lui, Carmelo Scorrano il violento, e non un altro pescatore o portulano di Gallipoli.
E’ il mistero dell’arte, che nasce dall’inconscio e si può spiegare solo dopo che l’evento è accaduto, non prima. Tutto l’immaginario della sua poesia è elementare, universale, primitivo, istintuale, e tuttavia i suoi versi hanno in sé un’ansia di nuovo, di cambiamento e aprono orizzonti sconosciuti, perché il tutto è rivisitato con occhi diversi e con sentimenti che sembrano nascere lì per lì e si fanno misteriosamente poesia. Quali sono i suoi riferimenti, i suoi modelli letterari?
Non sforzatevi troppo a cercare sui libri. I suoi modelli vanno piuttosto ricercati in altri artisti locali, quali l’Uccio Piro de “Labbigiata“, o il pittore Italo Tricarico, recentemente scomparso, che intingeva il pennello nel suo sangue. Tutti e tre sono spinosi, petrosi, ruvidi e salmastri, ma anche pieni di dolcezze, come i fichi d’india, prelibati, come i ricci di mare, tutti e tre sono figli del popolo, focosi, passionali, autodidatti, e tutti e tre sono portatori di un linguaggio fortemente popolare e dialettofono.