(Carnage)
Regia di Roman Polanski
con Jodie Foster (Penelope Longstreet), Kate Winslet (Nancy Cowan), Christoph Waltz (Alan Cowan), John C. Reilly (Michael Longstreet).
PAESE: Francia, Germania, Polonia, Spagna 2011
GENERE: Commedia drammatica
DURATA: 79′
Nel tentativo di risolvere in maniera civile una lite scolastica tra i loro figli, culminata con una bastonata e due incisivi al suolo, i coniugi Longstreet (parte “lesa”) invitano per un caffè i coniugi Cowan. Quando tutto sembra risolto, una battuta di troppo da il via ad un massacro verbale senza precedenti che scavalca qualsiasi convenzione civile e sociale…
Tratto dalla piece teatrale Il dio del massacro di Yasmine Reza,anche sceneggiatrice con Polanski, è un film anomalo e beffardo che registra la facilità con cui l’uomo moderno si dimentica le regole del vivere civile e, accantonata l’ipocrisia, da sfogo alle proprie peggiori pulsioni tornando l’animale che di fatto è. È un film sulla difficoltà di comunicazione tipica della nostra epoca e un apologo disturbante e cinico sul declino del sogno americano, secondo cui “chiunque può diventare ciò che vuole”. Polanski sembra chiedersi: ma sappiamo ancora cosa vogliamo essere? Interamente ambientato nell’appartamento dei Longstreet a New York, con due sole, significative incursioni all’esterno (prologo ed epilogo), il film rispetta le unità aristoteliche del racconto (si svolge in tempo reale, senza alcuna ellissi) e non permette via di fuga. Siamo dentro anche noi, e non possiamo uscirne. Ma le scelte formali di Polanski non si fermano all’esercizio di stile: il luogo “unico”, come già in molti altri suoi film, serve per “isolare” i protagonisti e fargli fare i conti con se stessi senza interferenze esterne (e va anche ricordato che la cattività è un concetto assai presente nella vita privata di Polanski), mentre lo svolgimento “in tempo reale” (il film dura 70′ e ciò che viene narrato dura esattamente 70′) permette di comprendere il legame causa/effetto tra gli avvenimenti e i passaggi che portano al “massacro” finale. Molto bunueliano a livello narrativo (i Cowan continuano a rinviare il loro commiato), ma anche nell’irridere senza riserve un certo tipo di borghesia, è in realtà un film assolutamente polanskiano anche nello stile: il regista riesce ad evitare il rischio del “teatro filmato” contrapponendo alla staticità della scenografia un incredibile dinamismo della macchina da presa, fluida e sinuosa, capace di cogliere tutti gli stati d’animo dei personaggi. Qualche stereotipo nei personaggi (ad esempio l’Alan di Waltz) e una tendenza un po’ superficiale a fare del dibattito una questione “di sessi” (alla fine i due uomini sono solidali in quanto uomini, idem per le donne), ma è un gran film, sostenuto da quattro attori strepitosi e da una regia perfetta. Sublime fotografia di Pawel Edelman, belle musiche del solito Alexander Desplat e ineccepibili scenografie di Dean Tavoularis, in grado di concepire un appartamento newyorchese “finto” (ricostruito in Francia) ma più vero del vero. Da non perdere.