Carnage segna il rientro di Roman Polanski dopo il deludente (e noioso) The Ghost Writer. Presentato a Venezia, non ha raccolto premi, rischia però di rifarsi al botteghino. Diciamo subito che l'operazione è di quelle che fanno esclamare "ne facessero di più di film così!". Carnage concilia un umorismo acido con una amara riflessione di costume. Per la caratteristica di essere girato praticamente in un unico ambiente (il soggiorno della famiglia Longstreet), ci ha fatto pensare a Buried, solo che Polanski nella cassa ci mette non una ma quattro persone, e poi si diverte a guardare cosa succede.
La trama, tratta da una pièce teatrale, sè composta quasi di nulla. L'antefatto ci mostra due ragazzini picchiarsi in un parco cittadino. I genitori del piccolo aggressore, i Cowan si recano a casa di quelli della vittima, i Longstreet, per dirimere la questione e stabilire come comportarsi. Passeranno la giornata intenti in un gioco al massacro psicologico, che attraverso un continuo cambio di alleanze (Cowan vs Longstreet, uomini vs donne, etc..) lascerà i personaggi (tutti?) nudi e disarmati di fronte alla propria irredimibile meschinità.
Il film utilizza praticamente un solo ambiente: la casa - ed in particolare il soggiorno - della famiglia Longstreet. Si intuisce l'ambientazione newyorchese dal paesaggio che si intravede dalle finestre, ma Parigi, Londra, Bruxelles non avrebbero tolto nulla all'efficacia della storia. Probabilmente se il film è ambientato negli States è più appetibile per quel mercato. La casa, dicevamo, riflette perfettamente i Longstreet o meglio riflette perfettamente l'idea che i Longstreet vorrebbero avessimo di loro: un affastellamento senza costrutto di libri di arte e pezzi di arredamento di design, senza tuttavia un'idea che armonizzi tanta cultura. Come vedremo, non è un caso!
I movimenti di macchina alternano riprese degli ambienti a movimenti in soggettiva, quasi in fish-eye sui singoli personaggi. Ci siamo chiesti per lunghi minuti se la soggettiva cambia in base al personaggio di cui assume il punto di vista (più in alto per la Winslet, più in basso per la Foster, per capirci). Alla fine abbiamo concluso di no, ma l'impressione è comunque quella di trovarsi in mezzo al battibecco.
I costumi riflettono lo stereotipo dei personaggi: i Longstreet, la famiglia liberal, indossano sobri maglioncini, mentre i Cowan, la famiglia in carriera, si presentano in elegante completo e soprabito lui e professionale gonna longuette nera con camicia bianca e filo di perle lei.
Gli attori sono tutti bravissimi e di grande esperienza, resistono alla tentazione di gigioneggiare rubandosi la scena a vicenda, meritano un'occhiata ciascuno:
John C. Reilly (una carriera straordinaria premiata -finora- da una candidatura all'Oscar per Chicago) interpreta Michael Longstreet, venditore di sanitari e accessori per la casa. Rappresenta l'americano medio, in bilico fra ragionevolezza e tentazione di risolvere le cose "fra uomini". Tenta di dare un'immagine di sè un po' più elegante di quello che non è, ma una volta scoperto sembra che abbia una gran voglia di mandare tutti al diavolo e andare a farsi una passeggiata nella prateria.
Jodie Foster è Penelope Longstreet, aspirante scrittrice di denuncia sociale sui temi dell'Africa. Si sente migliore del mondo che la circonda e non si capacita di come tutti gli altri non condividano il suo modo politicamente corretto di vedere le cose. La Foster si conferma attrice di categoria superiore, basta vedere come riesce a vibrare di sdegno gonfiando la vena della fronte: monumentale!
Kate Winslet una meravigliosa prova, secondo noi di magistrale misura, nel ruolo di Nancy Cowan, madre in carriera oberata dallo stress e dai sensi di colpa mai sopiti nel rapporto con il figlio. In continua oscillazione fra rassicurazione (siamo adulti, siamo ragionevoli...) e isteria. Due scene tutte da godersi in poltrona:quando vomita sui preziosi libri d'arte di Penelope e quando impazzisce perchè le maltrattano la borsa (come non solidarizzare??)!
Last but not least Christoph Waltz - Alan Cowan, il papà del piccolo aggressore. Waltz, che tutti ricordiamo magistrale "cacciatore di ebrei" in Inglorious Basterds, interpreta qui un altrettanto luciferino personaggio, avvocato di fantomatiche amorali multinazionali farmaceutiche. Da ogni sua parola, da ogni alzata di sopracciglio partono sciabolate sulle ipocrisie e le contraddizioni degli altri personaggi. Da vero "dio della carneficina" (titolo originale della piece da cui è tratto il film) è l'unico personaggio che, nella propria totale amoralità ed indifferenza per il prossimo, mantiene una tragicomica coerenza.
Il film annovera fra i suoi pregi anche quello di non dilungarsi oltre il necessario, 80 minuti circa. Da più parti si è letta l'ipotesi che Polanski con questo film avanzi una critica alla società borghese. A nostro avviso si spinge invece molto più in là: la critica, spietata è per tutta la società occidentale, ormai incapace di contestualizzare e dare l'adeguato peso persino a una banale baruffa fra ragazzini. I personaggi di Carnage hanno desideri a cui non sanno come dare forma, si perdono in oceani di parole, cortesie di facciata, piccole e grandi ipocrisie nel disperato tentativo di trovare una soluzione condivisa, quando - ma ormai ce lo siamo dimenticati un po' tutti - un paio di sganassoni bene assestati ed una settimana senza Nintendo avrebbero forse raggiunto con sufficiente efficacia gli scopi educativi dei personaggi.
All'uscita dalla sala ci si è divertiti, ma fatalmente torna in mente la profezia degli indiani Hopi citata in Koyaanisquatsi di Godfrey Reggio: "È possibile che un giorno un recipiente di cenere sia scagliato dal cielo, che arda la terra e faccia ribollire gli oceani." Se davvero le cose stanno come ci fa vedere Polanski, quando succederà potremo ben dire di essercelo meritato!
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