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Tolti alcuni nomi, riadattati per un pubblico internazionale, la storia e le parole sono esattamente quelle di Yasmina Reza: due coppie, armate di cinismo e di cavillose questioni di principio, si confrontano sul comportamento scorretto di uno o di entrambi i loro figli in un susseguirsi di ripicche, falsità e allusioni malevole. Veleni che non accettano antidoti o rimedi omeopatici snidano serpi di malumori e tic.
Film costruito su zoom più o meno morbidi e inquadrature rapidissime in un interno lussuoso ma ristretto, Carnage nella versione di Roman Polanski si apre e si chiude con due piani fissi nel parco cittadino dove si è svolto l'episodio all'origine di questa commedia di fiele. D'altra parte, non è una questione di set: il regista sembra asserire che il mondo, fuori, lasciato a se stesso, segue altre regole, non peggiori, e comunque non quelle della logica claustrofobica di chi vuol mettere tutto a posto con buona creanza e razionalità. Incarcerati nei loro ruoli, infatti, nel modo in cui si vogliono presentare, i personaggi dei genitori danno il peggio di sé con lo spettacolo di una desolante meschinità. Da ciò, si arguisce che Carnage - nella sceneggiatura di Roman Polanski con la stessa Yasmina Reza - è una commedia di parole e di recitazione, che ha bisogno di attori magnifici e che forse, più che a teatro, trova la sua completa realizzazione proprio al cinema.
Non mancano certo, in questa produzione internazionale (Polonia, Francia, Germania, Spagna), gli interpreti di rango, tutti fedeli allo spirito della commedia da camera, ciò che a mio avviso vale anche molto di più della fedeltà alla lettera del testo. Innanzitutto, si segnala la Penelope di una Jodie Foster eccezionale: emaciata, quasi divorata dalla sua stessa nevrosi urbana, ostinata nella sua idea di giustizia e nella sua determinazione titanica, guida gli interlocutori in questa corsa verso il massacro. Ottima anche Kate Winslet, che tratteggia la sua Nancy, livorosa quant'altre mai, con tocchi di personale carattere e un realismo pregevole.
Sul versante maschile, ho preferito senz'altro le cesellature comiche dell'Alan di Christoph Waltz - con il suo tono tagliente, il distacco intermittente, le infinite telefonate e le menzogne professionali (e non) - alla rispettosa interpretazione di se stesso del Michael di John C. Reilly: sembra quasi che il ruolo sia studiato per lui, e non viceversa, senza che questo possa essere ascritto a titolo di vanto, nonostante l'indubbia professionalità dell'attore.
L'esito complessivo, come si diceva in apertura, è proprio quello migliore: la commedia viene alleggerita delle tinte troppo amare, ricondotta allo scarno vaudeville metropolitano che fa serata e, a modo suo, lascia il segno nelle tinte viscerali di Roman Polanski.
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