Quattro persone, due coppie, sono genitori e son riuniti in un soggiorno, attorno ad un tavolino da the, su cui troneggia un vaso di perfetti e giallissimi tulipani. Sono composti, educati, decisamente civili, ma tanto, troppo, diversi tra loro. Non c’è alternativa, devono interagire, confrontarsi, collaborare, se necessario mediare, e sicuramente concordare una linea di condotta comune per il bene di tutti, insomma devono rimanere li.
Così si apre “Carnage” e in quella stanza emergeranno le caratteristiche delle quattro persone, in cui ben presto riconosceremo un pochino di noi stessi, dei nostri amici, di parenti e conoscenti.
Roman Polanski prende una pièce teatrale (Le Dieu du Carnage) e la traspone su pellicola “chiudendo” in una salotto quattro mostri sacri della recitazione ed inquadrandoli impietosamente pressoché sempre dalla vita in su (la macchina da presa allargherà solo per regalarci alcune fotografie, meravigliose immagini d’insieme del palcoscenico che è divenuto il nostro soggiorno), poi impone loro di incarnare l’uomo moderno che, una volta rinchiuso in uno spazio ridotto, per un tempo superiore a quello impiegato per bere un caffè, si sente soffocare e lascia che i propri difetti prendano (a sua insaputa?) in poco tempo il sopravvento.
Il pretesto è una normale lite tra bambini, l’esclusione dalla “banda” di uno di essi, la contro-accusa di essere una “spia” e la reazione del leader del gruppo, un po’ troppo energica, mentre giocano nel parco. I due se le danno di santa ragione e il soccombente perde gli incisivi. Non bello, ma normale. Una volta, probabilmente, rincasando se le sarebbe sentite, oggi invece il piccolo viene protetto mentre il teppistello (che sempre, ai nostri tempi ne avrebbe prese un sacco ed una sporta) è da punire in modo “costruttivo”, qualsiasi cosa ciò significhi, ma il tutto collaborando tra famiglie. Facendo squadra. I tempi sono davvero cambiati…ma il genere umano no!
E così a Christoph Waltz tocca il compito di incarnare l’avvocato senza scrupoli, rampante, obiettivo che vede il proprio figlio per quello che è (il che non è male) ossia un esaltato u n po’ “pazzoide”, ma trascura terribilmente il suo ruolo di padre e vede la moglie come una statuina e non come una compagna; lei è Kate Winslet che, attanagliata dalla gastrite, ha il sistema nervoso a pezzi: è una donna in carriera che ha la famiglia sulle spalle e un compagno che non la vede neppure più (e che se si facesse la segretaria non vi sarebbe nulla di cui stupirsi), inutile dire che siano genitori del piccolo capo-banda che prende a bastonate il figlio di Jodie Foster e John C Reilly. Jodie, la donna equo-solidale che vuole vivere in armonia col creato e fare sempre la cosa giusta, e John C. Reilly, il venditore di ricambi che incarna l’uomo semplice e gioviale, sono i genitori del ragazzo che rimarrà senza denti sino alla maggiore età. Tutti consapevoli della situazione, tutti ragionevoli, tutti di cultura elevata, ma tutti che perderanno le staffe. Durante le quasi due ore di convivenza gli equilibri le alleanze cambieranno, l’unica cosa certa sarà che Kate ci vomiterà sopra e che per ottenere l’attenzione dell’avvocato-Waltz si dovranno interrompere le comunicazioni GSM.
Semplice, accattivante, equilibrato, dalla fotografia raffinata, piccolo capolavoro da vedere.