Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri è stato annunciato che la città di Messina resterà senz’acqua per altri 5 giorni, necessari per il ripristino della conduttura e per liberare le tubature invase dal fango a causa dei fenomeni franosi.
Ecco, adesso mi aspetto che con feroce e tempestiva puntualità l’Oms, il Parlamento Europeo, gli oncologi della Leopolda, i nutrizionisti delle mense della Buona Scuola, il dietologo , frustrato, della Merkel, somministrino ai cittadini di Messina qualcuna di quelle loro pillole didattiche, di quelle raccomandazioni di buone pratiche, raccomandando di non bere acqua ma gustosa Coca Cola, tra l’altro generoso sponsor dell’Expo, invitando a non indulgere in lavacri, consuetudine disdicevole cui sono dediti ceti viziosi e traviato, come insegna la decadenza dell’impero romano, consigliando gli agricoltori a non indulgere a comportamenti troppo permissivi con le piante, che troppe irrigazioni inducono cattive abitudini.
Perché l’erogazione di disinteressati consigli, l’elargizione di amorevoli suggerimenti per il nostro bene da parte di organismi sulla cui obiettività e indipendenza ci è permesso di dubitare, non sono mai casuali, come dimostra la singolare coincidenza di tempi, motivazioni e intenti tra le linee guida dell’Oms che condanna senza remissione il consumo di carni rosse e insaccati rei di esporre a malattie mortali, e l’approvazione da parte dell’Europarlamento della proposta di regolamento sul consumo di “nuovi alimenti” qualora siano autorizzati dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, intendendo per “nouvel food” insetti, alghe, nano materiali.
È fatta così la pedagogia perlopiù punitiva dell’imperialismo che comanda sul mondo e che vuole insegnarci anche con mezzi piuttosto coercitivi come vivere e come morire, come accoppiarci, cosa mangiare, che vuole ammaestrarci su cosa è bene e cosa è male, pretendendo addirittura di convincerci che è nel nostro interesse, che risponde ad un fine educativo particolarmente impellente nel caso di popoli bamboccioni, zotici, screanzati e quindi poco solidali nei confronti degli altri e dell’ambiente, per via di tradizioni, consuetudini e vizi contratti grazie a un benessere immeritato. È la loro decrescita, felice per chi ha e avrà sempre di più, disgraziata per chi ha poco e avrà sempre meno, che vorrebbero persuadere alla bontà della rinuncia, ai benefici del sacrificio, alla redenzione tramite il castigo di sicurezze, garanzie, diritti.
Perché c’è poco da credere che la messa al bando ideologica della ciccia, del goloso pane e salame, anche del wurstel irrinunciabile per i crucchi, tragga origine dalla benevola volontà di farci vivere sani e più a lungo, un intento che si scontra con i più volte ripetuti suggerimenti del Fmo a morire il più presto possibile per non pesare sui bilanci pubblici o con la cancellazione del diritto alla salute messo in atto dal nostro governo, che impedisce prevenzione, diagnostica, cura e assistenza. Mentre invece è probabile l’intenzione intimidatoria, il supplemento di paura che deriva dal propagare come un contagio il virus della minaccia, del pericolo che si annida in certe abitudini che pensavamo fossero un segno di affrancamento dalla miseria, come il nutrirsi di cibi una volta monopolio esclusivo dei ricchi, che peraltro, si sa, hanno avuto tra le rendite e i privilegi anche quello di una superiore longevità.
Eh si, perché la paura, soprattutto se è agitata da soggetti autorevoli, dalla scienza e dai suoi “sacerdoti”, dalla tecnica e dai suoi officianti, è la più formidabile arma di soggezione, controllo, conquista e sottomissione. Come la fame d’altra parte, anche quando prende le fattezze della “moda” e dei suoi diktat tra fusion e light, tra somatica di regime che ci vuole tutti magri, giovani, depilati, e esclude chi rivendica anche questa innocente diversità e imposizione di un “gusto” globale, sancito dalle multinazionali del sapore. In attesa che master chef planetari aggiungano ai loro piatti un po’ di croccantezza con le locuste, quel tanto di necessaria acidità con le radici e la dolce sapidezza dell’irrinunciabile lombrico, per riportarci alla condizione animale, quella a quattro zampe, in modo da favorire insieme ubbidienza e ferocia.