Andate, quindi, a gustarvi questa bella edizione, cliccando qui.Paolo ha introdotto l'evento con un incipit interessantissimo, che non esito a riportare integralmente. Leggete con attenzione, ragazzi, mi raccomando!
"Il tema di questa edizione del Carnevale della Chimica, la # 15, è La Chimica dei farmaci.
Per gli uomini, in genere, niente è più importante della riproduzione e della nutrizione. Ma qualcosa ci si è avvicinato: la cura delle malattie è una di queste. All'interno della nutrizione, in quelle popolazioni pre-culturali o nelle popolazioni animali, è racchiusa sia la prassi dell'alimentazione che quella della manutenzione o della cura. Cura preventiva, se vogliamo. Questa pratica è comunemente diffusa nel regno animale, ognuno di noi l'ha osservata: chi ha un gatto o un cane, avrà osservato questi fenomeni, che non sono culturali come li intendiamo noi ma appartengono ai comportamenti ereditari della specie. Gli scimpanzè, vera e propria specie di confine tra quelle a comportamento ereditario puro e quella con comportamento culturale o appreso, sono stati osservati assumere foglie o piante con un basso apporto calorico ma delle spiccate caratteristiche di antiparassitari [Krief et al. 2005].
L'uomo, chiaramente, da questo punto di vista rappresenta l'unica eccezione. Un momento che segna uno spartiacque nella storia della terapia medica può essere fatto risalire al 400 a.C. In quel periodo si impone una scuola sorta intorno a un grande studioso: Ippocrate. A lui e alla sua scuola si fa risalire De morbo sacro (Sulla malattia sacra) in cui si afferma:
Per quanto concerne la cosiddetta malattia sacra le cose stanno così: per nulla la ritengo più divina delle altre malattie o più sacra, ma anch'essa scaturisce da una causa naturale come le altre malattie. Sono stati la perplessità e lo stupore a indurre gli uomini a crederla divina; perchè non assomiglia in nulla alle altre malattie.[1]
E' il passaggio dal sacro al profano, dalla malattia come punizione alla malattia come perturbazione dell'equilibrio naturale dell'organismo. E quale malattia più dell'epilessia poteva assurgere a malattia sacra per eccellenza? Anche Gesù, 400 anni dopo Ippocrate, ancora guarisce gli epilettici scacciando i loro spiriti maligni, a significare la persistenza di questa convinzione che resiste ancora oggi negli esorcismi. Ma non si creda che gli ippocratici fossero ostili alla religione. E' vero il contrario: ritengono che cercare di guarire le malattie ponendosi allo stesso livello degli dei sia offensivo; bisogna mettersi al di sotto e cercare la cura tra le cose materiali, nella natura.
L'esperienza è la vera guida del medico ippocratico: non la pratica magica e nemmeno le teorie scientifiche. E l'alimentazione è il metodo capace di guidare l'uomo lungo la strada della salute: la dieta non è soltanto l'elenco dei cibi permessi è la giusta misura, giusta misura che si ottiene con l'esperienza che si materializza poi nella techne.
Dalla teoria dei 4 umori, caldo, freddo, umido e asciutto, che il medico ippocratico ritrova nel sangue, nel muco, nella bile gialla, e nella bile nera, discende la diagnosi e può anche stabilirsi la terapia: la malattia è una perturbazione, il medico non deve fare altro che ripristinare l'equilibrio spezzato.
La dieta come base fondante della terapia medica è però opposta all'uso dei farmaci. Il pharmakon è, allo stesso tempo, pianta officinale e veleno o amuleto. Molti medici, come ad esempio Asclepiade, ritengono che il farmaco danneggi lo stomaco e contenga umori cattivi mentre altri invece, Pedanio Dioscoride, scrivono trattati di farmacologia. In Sulla Materia medica descriverà oltre 600 tra piante officinali e rimedi minerali o di origine animale, opera notevole se ancora nel XVI secolo, per lui che la scrisse nel 100 d.C., era usata come libro di testo.
Come non citare infine Galeno e lasciarvi, oltre che con il peso dei suoi studi anche con un suo racconto aneddotico riguardante antidoti e re: era prassi di reggenti e potenti, timorosi di essere assassinati (un po' come accade ai giorni nostri, i despoti hanno sempre paura di essere uccisi), cercare di acquisire un'immunità ai veleni provando tutti i farmaci che vantavano qualche successo. E ogni volta che pensavano di averne trovato uno lo univano a quelli già conosciuti per ottenere infine un antidoto universale contro tutti i veleni. La cosa andò oltre ogni rosea aspettativa e l'immunità ai veleni che raggiunse uno di questi re, Mitridate VI re del Ponto, fu tale che, caduto nelle mani dei romani e non volendosi far catturare vivo, volle suicidarsi con del veleno ma non riuscendovi dovette ricorrere alla spada di un suo soldato."Mi congedo, non prima di avervi informato che l'edizione n. 16 sarà ospitata da questo blog il 23 aprile prossimo, con un tema di ampio respiro: la "Chimica del carbonio"