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Caro editore ti odio/7

Creato il 18 luglio 2013 da Martinaframmartino

Caro editore ti odio/7Se i titoli delle varie opere sono spesso tradotti in modo molto fantasioso, a volte ci sono problemi anche con il nome dell’autore. Per gli ultimi volumi della Ruota del Tempo l’editore statunitense Tor e quello italiano Fanucci hanno deciso di riportare i nomi di entrambi gli scrittori ma, visto che la saga è stata creata da Robert Jordan e che è lui lo scrittore più importante, il suo nome è scritto con caratteri più grandi rispetto a quelli usati per Brandon Sanderson. In questo caso si è trattato di onestà nei confronti del lettore, al quale è stato spiegato chiaramente il coinvolgimento di Sanderson nel progetto senza l’utilizzo di ignoti ghost writer e la finzione che le opere fossero state termiate da Jordan stesso, mentre in altre occasioni i nomi sono stati adoperati in modo errato per attirare potenziali lettori.

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Tanto La caduta di Neskaya quanto L’alba di Avalon riportano in grande — sia nell’edizione italiana che in quella originale — il nome di Marion Zimmer Bradley e in piccolo quelli di Deborah J. Ross il primo e di Diana L. Paxon il secondo. Il copyright però riporta, oltre al nome della coautrice, la dicitura The Marion Zimmer Bradley Literary Works Trust, sottolineando come la partecipazione dell’autrice più famosa all’opera sia stata molto limitata. Ovviamente non è possibile sapere se Marion abbia influito solo con la creazione delle atmosfere e con qualche commento relativo alla possibilità di scrivere una storia su determinati eventi o con qualcosa di più consistente, ma il sospetto che il suo nome sia stato usato solo per motivi commerciali è forte.

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Certo è quello che è stato fatto con il romanzo Il giglio celeste, scritto da Julian May. Il mondo di Ruwenda è stato creato congiuntamente dalla Zimmer Bradley, dalla May e da Andre Norton, che nel 1990 hanno pubblicato insieme Il giglio nero. In seguito ciascuna delle autrici ha scritto nuove storie aventi per protagonista la principessa della quale aveva narrato la vicenda nel primo volume, ma si è sempre trattato di storie autonome. La May di seguiti ne ha scritti due, Blood Trillium, diventato in italiano Il giglio insanguinato, e Sky Trillium, diventato Il giglio celeste. Se con il primo non ci sono problemi, sulla copertina del secondo spicca il nome di Marion Zimmer Bradley, assente tanto nella copertina originale quanto nell’indicazione del copyright. In questo caso si è trattata di un’arbitraria decisione di Longanesi — e successivamente di Tea — che in questo modo ha reso il libro di più facile attrattiva.

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Altro modo per indicare il lettore è quello di non indicare con precisione se il nome riportato in copertina sia quello dell’autore o semplicemente quello di un curatore. È quanto ha fatto Rizzoli con la serie fantascientifica delle Wild Cards, sui cui volumi spicca — senza altra indicazione — il nome famosissimo di George R.R. Martin. Peccato che Martin nell’occasione abbia scritto uno solo degli oltre dieci racconti presenti in ciascuno dei due volumi fin qui pubblicati, oltre ai testi di raccordo fra i racconti stessi. Più correttamente sulle edizioni originali c’è scritto edited by o il nome dello scrittore accompagnato dalla parola editor.

Insieme al titolo e al nome dell’autore l’illustrazione di copertina è la prima cosa che può attrarre l’interesse del lettore. Il suo scopo è di affascinare e spingere il potenziale acquirente a prendere in mano il libro per valutarlo più attentamente. E possibilmente dovrebbe essere anche in tema con l’opera che sta illustrando, anche se questo a volte sembra un optional.

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Il ciclo degli eredi di Shannara di Terry Brooks presenta una bellissima illustrazione di Paolo Barbieri dedicata a un drago. Nulla da ridire nell’immagine in sé, ma dove sono i draghi in quei quattro romanzi? Problema vecchio che perennemente torna ad affliggere le copertine, visto che già nel 1965 lamentandosi della copertina dell’edizione paperback americana dello Hobbit J.R.R. Tolkien scriveva “a proposito dell’immagine devo chiedervi: che cosa ha a che fare con la storia? Dove si colloca? Perché un leone e degli emù? E cos’è quella cosa sullo sfondo con bulbi rosa?” (15).

Martin, dal canto suo, ha affermato che, anche se a lui è andata bene, nella maggior parte dei casi lo scrittore non apprezza l’illustrazione spiegando che molto spesso l’illustratore non ha letto il libro ma semplicemente un breve paragrafo descrittivo indicatogli dall’art director, e che a volte addirittura l’illustrazione, realizzata per tutt’altro motivo, viene semplicemente abbinata a una determinata opera (15).

Questo mostra come la pratica di realizzare copertine poco attinenti al romanzo o brutte non sia limitata ai soli editori italiani ma abbia una lunga tradizione anche all’estero, anche se non va dimenticato che spesso la percezione di ciò che è bello e di ciò che è brutto è molto soggettiva.

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Quando, ai DelosDays tenutisi a Milano dal 2 al 5 giugno 2011, una partecipante alla convention ha chiesto a Gianfranco Viviani, direttore della collana Odissea vampiri, informazioni sulle copertine della collana, da lei poco apprezzate, Viviani ha risposto che, per quante critiche ci siano, gli apprezzamenti sono molto più numerosi, evidenziando l’impossibilità di accontentare tutti i lettori.

Una delle cose meno gradite da chi acquista una serie di libri è il cambio di grafica all’interno della serie, specie sulla costa dei libri, la parte più visibile quando i libri stessi sono allineati sugli scaffali di una libreria. Chi ha acquistato Le cronache del ghiaccio e del fuoco in edizione rilegata fin dal principio si ritrova a possedere due volumi con una costa nera nella cui zona superiore si trova un riquadro contenente la stessa illustrazione della prima pagina della copertina e titolo del libro e nome dell’autore scritti con andamento orizzontale e caratteri gotici. Il regno dei lupi ha la costa bicolore con l’immagine della prima di copertina che prosegue nella zona centrale e le scritte in un normale stampatello disposte dall’alto verso il basso. I successivi sei volumi mantengono l’impostazione bicolore con colori diversi da una copertina all’altra e lo stesso tipo di caratteri, ma non hanno più l’immagine che prosegue in costa. Dai Guerrieri del ghiaccio in poi, infine, è sparita la suddivisione in due colori e c’è solo il colore screziato che costituisce lo sfondo dell’immagine principale.

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Per la Saga dei sognatori di David Eddings Sperling & Kupfer è riuscita a fare di meglio, alternando scritte in verticale (primo e terzo volume) e scritte in orizzontale (secondo e quarto) nell’arco di soli quattro anni, dimostrando una notevole indecisione nella scelta della grafica.

Fanucci è stata più uniforme, ma qualche modifica c’è anche nella Ruota del Tempo di Robert Jordan. Tutte le copertine — con l’eccezione di quella del Cuore dell’inverno, sulla cui costa prosegue l’illustrazione della prima pagina — sono monocromatiche, ma proprio dal nono volume sparisce il piccolo stemma che fino a quel momento aveva separato nome dell’autore e titolo, mentre a partire dal decimo sono stati cambiati i caratteri utilizzati per le scritte.

Di per se i cambiamenti non sono fini a sé sessi. Se confrontiamo la grafica attuale della maggior parte delle collane di libri con quella che avevano quelle stesse collane cinque, dieci, quindici, venti anni fa e anche oltre possiamo notare un bel po’ di cambiamenti. Il nostro gusto per le immagini cambia, e dopo un po’ di tempo una certa grafica appare vecchia. Per questo gli editori tendono a cambiare l’impostazione delle copertine, in modo da dare un aspetto il più possibile nuovo e attraente ai libri che pubblicano. A volte commettono degli errori, ma il progetto è sempre quello di colpire l’immaginazione dei lettori proponendogli quello che a loro giudizio può piacere o cercando di costruire un nuovo gusto (17).

Perciò se, come nel caso di Martin, la pubblicazione di una saga si protrae nel tempo, il lettore rischia di acquistare volumi dall’aspetto molto diverso l’uno dall’altro. Anche se quattro grafiche diverse — e visto che la saga è ancora ben lontana dall’essere completata non c’è modo di sapere come saranno realizzate le altre copertine nei prossimi anni — sembrano decisamente troppe.

Note:

15) J.R.R. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, 1981, trad.it. La realtà in trasparenza, Bompiani, Milano, 2002, pagg. 407-408.

16) George R.R. Martin, Foreword in A.A.V.V., The Art of George R.R. Martin’s Song of Ice and Fire, Fantasy Flight Publishing, 2010, pag. 4.

17) I cambiamenti nella grafica delle copertine non sono certo un’esclusiva italiana. Un esempio si può vedere sul sito di Martin che raccoglie le copertine di diverse edizioni delle sue opere, anche se nella maggior parte dei casi è visibile solo la facciata principale e non la costa. In particolare con A Dance with Dragons compaiono ben quattro copertine ipotetiche (oltre a quella poi effettivamente utilizzata) progettate dalla casa editrice Bantam Spectra nell’intervallo di tempo trascorso fra la pubblicazione di A Feast for Crows (2005) e quella di Dance (2011) che testimoniano chiaramente il mutare dei gusti: http://georgerrmartin.com/gallery/song.html.



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