In effetti i progressi della scienza ci stanno consegnando una buona dose di “immortalità”.
Sì, sì… mi gusta molto l’immortalità, un po’ di più della trasformazione in diamante delle ceneri dell’amato defunto.
Della serie: “Caro, non ti dovevi disturbare…”
Continuo il mio racconto:
Riassunto degli episodi precedenti:In un ufficio ministeriale compare uno strano aggeggio. Niente paura, si tratta di una radio, danneggiata, perché trasmette - ahimé - sempre sulla stessa frequenza.Siamo negli anni '50 e in quell'ufficio ci lavora Maria. La donna, dopo aver ascoltato la musica della radio, esce dall'ufficio con buoni propositi. Vorrebbe cambiar vita e trovarsi un amore ma il destino si accanisce contro di lei. Proprio in quel momento un bambino sfugge alla madre e attraversa la strada senza accorgersi che una macchina sta arrivando. Maria vede tutto ed eroicamente si lancia sulla strada e salva il bambino. La macchina però la investe e Maria muore tragicamente. Passano gli anni e dentro quell'ufficio, siamo negli anni '70, ora ci lavora Mauro, avvocato ma destinato al momento ad essere impiegato come amministrativo. Anche lui un giorno si accorge della presenza di una radio, misteriosamente apparsa sopra uno schedario. L'accende, ma la radio sembra essere bloccata su un'unica frequenza che trasmette musica religiosa. Lo stesso giorno fa uno strano incontro: si scontra all'uscita con il portaborse di un ministro che sta portando un'importante lettera proprio al Presidente della Repubblica. A scriverla sarebbe stato un misterioso gruppo composto da personaggi strani...
RADIO X
Invero suo padre aveva subito notato nel figlio una strana dose di debolezza.
Fin da piccolo era un bambino piagnucoloso, che amava stare con la madre, giocare con le bambole delle cuginette che venivano a casa apposta per farlo divertire, spiluccare le coperte di lana, ciucciare per ore il biberon del latte.
Tutte queste banalità sembravano agli occhi del padre orribili segnali di indole femminile.
Ecco che allora per raddrizzarlo e riportarlo alla retta via mascolina, quando piangeva lo allontanava con serietà dalla madre e lo riponeva in una stanza buia finché il poverino smetteva di piagnucolare per poi riportarlo alla luce. In fin dei conti il comportamentismo insegnava questo: ad uno stimolo corrisponde una risposta e la punizione consisteva proprio in una circostanza volta a diminuire la probabilità di comparsa di una risposta non voluta.
Le cuginette diradarono ben presto le loro visite. Lo zio le spaventava quando osavano avvicinarsi al piccolo compagno di giochi. Il gioco del dottore venne sostituito da giochi solitari.
Le copertine di lana furono sostituite da pesanti trapunte, il biberon da tazze.
La madre si tratteneva da qualsiasi espansione di tenerezza, perché avrebbe in questo modo temprato il carattere. E così Roberto cresceva con pistole e robot atomici di latta che il padre faceva pervenire direttamente dall’America.
E’ per bilanciare questa indole bonaria che spesso, inconsciamente, si diventa egregiamente cattivi.
Contro qualsiasi teoria comportamentista, sembrava funzionare una trasmissione intergenerazionale dispettosa, per cui quanto più il padre cercava di temprare il figlio, più questo teneva dentro sé un germe di debolezza che mitigava con una spavalderia dannosa per sé e per gli altri.
Alcune ideologie politiche sembrano pertanto colmare lacune presenti nelle persone. Tanto più uno si appoggia a un’ideologia che proclama un’idea di forza e la necessità dell’uso della forza, con la giustificazione della violenza in virtù del raggiungimento di un obiettivo, tanto più la persona che vi si appoggia e ne viene attratto, è una persona che ha bisogno di essere guidata, priva di qualsiasi atteggiamento critico nei riguardi del mondo. E così, come la responsabilità penale è sempre individuale, qualsiasi male è sempre individuale e, invero, non esiste nessun bene comune, ma un bene sempre individuale.
Il bene della collettività, il bene comune è una baggianata creata per le masse, per il loro ammansimento, quando si sa appunto che il bene dell’uno non coincide con il bene dell’altro o di un altro o altri ancora e tanto meno non coincide con il bene di molti. Su questo incide l’educazione. L’educazione diventa il pretesto culturale per inculcare oggetti psichici frutto di contesti sociali e culturali dominanti, di chi detiene il potere.
Il padre era il potere. E tutto in suo nome.
“Diventerai un grande uomo, farai grandi cose”, gli diceva sempre suo padre.
Ma lui non voleva essere “grande”, si sentiva infinitamente piccolo, e incerto, incapace, tanto che si circondava di incapaci anche nelle amicizie.
Ora, a venticinque anni, Roberto si trovava ad un bivio. La morte del padre rappresentava per lui la morte di un mito. Questo mito lo aveva condotto a una strada impervia. Trovare la propria strada… missione impossibile, finché non aveva rintracciato indizi che gli avevano aperto uno squarcio di luce sul buio della misera esistenza.
Suo padre aveva combattuto! Anche lui avrebbe fatto lo stesso e avrebbe eliminato chi proclamava idee di uguaglianza. L’uguaglianza esisteva solo tra i vili. Il mondo invece era profondamente diseguale e si divideva in forti e deboli: i deboli dovevano soccombere.
Logico che lui si trovasse dalla parte dei forti.
Erano gli anni ’60 e tutto sembrava coincidere con la voglia di dare un impulso acceleratore ai movimenti all’interno del paese. Roberto per indole si trovava dalla parte di coloro portati all’azione. Il filo americanismo del padre lo aveva compreso come una resa iniziale a un modello di democrazia che invece a lui stava stretto.
Il mondo si divideva in bianco e nero, deboli e forti e vivi e morti; naturalmente non si poneva il problema di un’autocritica e di una riflessione intima.
I ragazzi che aveva iniziato a frequentare erano quattro o cinque balordi privi di qualsiasi valore morale: per loro vivere equivaleva a scopare e mangiare, mangiare e scopare secondo un ordine vario per cui il mangiare era sempre e comunque necessario. Sul lato sessuale, invece, tutto dipendeva da chi riuscivano a rimorchiare ma su questo il loro era un infimo successo per l’incapacità di connettere due parole nella trama di un discorso logico.
“Mango, domani partiamo per la montagna!”, disse Roberto a un ragazzone biondo alto circa un metro e novanta, disteso sgraziatamente sul divano, intento a grattarsi senza ritegno i testicoli.
Qualche volta i suoi amici gli facevano schifo.
“Cosaaa? In montagna?”
Nella stanza, a casa di Roberto, erano in tre: Roberto, Mango e il cugino di Mango, Alex.
Alex era piccolo e minuto, e fisicamente sfigurava in mezzo agli altri due, anche se con la testa riusciva a macinare più in fretta qualche pensiero.
“
Sapeva che se quel matto di Roberto si fosse messo qualcosa in testa, l’avrebbe fatta con o senza di loro. Si trattava perciò di prender tempo e di capire dove l’amico sarebbe andato a parare…
(CONTINUA)
P.S. le foto sono tratte dal web e non hanno alcuna attinenza con il racconto, frutto della mia fantasia.