Magazine Cultura
"No other love can warm my heart
Now that I've known the comfort of your arms
No other love, oh the sweet contentment
That I find with you everytime, everytime
No other lips could want you more
For I was born to glory in your kiss, forever yours"
(No Other Love, Joe Stafford)
Chissà perché ci ostiniamo sempre a volerci innamorare d'estate: stiamo tutti lì a costruire romantiche fantasie per tramonti infuocati, indolenti giornate scottate e salmastre e lunghe passeggiate sotto cieli limpidi e stelle cadenti; chissà perché, quando avvolti in cappotti e cappelli a osservare le vite degli altri scorrere attraverso le finestre dei locali, coi guanti di pelle che ci stringono le dita mentre vorremmo che a farlo fosse qualcun altro e le luci natalizie che si accendono sulla via riempiendo anche solo per un istante il vuoto che ci siamo scavati dentro, il bisogno di calore che ci lascia soli sulle strade ghiacciate dell'inverno ci affama di una voglia d'amore ancora più testarda e irresistibile.
Di una passione invernale racconta Carol di Todd Haynes, fratello di sangue dello splendido Far From Heaven con Julianne Moore con cui condivide quegli anni 50' così impeccabili e infrangibili, dove le gonne a ruota e i cappellini coordinati si cucivano addosso alle donne con la stessa facilità del grembiule da cucina con cui ogni brava moglie doveva adoperarsi al meglio per accogliere a casa degnamente il proprio prezioso marito, un bel sorriso e poco altro a riempire una vita cristallina come una vetrina dei grandi magazzini; una vita perfetta, tutta casa, famiglia e buona società, che Carol Aird aveva provato ad avere recitando al meglio il ruolo che le era stato affidato, ma che alla fine non è più riuscita a trattenere oltre lo sguardo sfuggente di chi sa già cosa sta cercando disperatamente di trovare tra la folla: così arriva Therese, giovane commessa ancora inesperta del cuore ma capace di osservare con attenzione il mondo attraverso l'obiettivo della sua macchina fotografica, l'istante di un'occhiata rubato al caos dello shopping natalizio e i guanti di Carol dimenticati sul bancone e da dover restituire, l'opportunità di un nuovo incontro degna del più classico dei romanzi vittoriani.
La bellezza di Carol di Todd Haynes è tutta qui, nel gioco di sguardi e carezze che le due donne possono permettersi di celare in bella vista, un berretto screziato a strisce gialle e rosse a minacciare gli equilibri color pastello di una società che nessuno dovrebbe mai sognarsi di sovvertire e men che meno una donna rispettabile: per non restare rinchiuse nelle Case di bambole che dagli scaffali del negozio di giocattoli si vantano con orgoglio del loro conservatorismo immacolato(quale occasione migliore delle feste natalizie per erigere un monumento alla famiglia americana?) c'è solo il peregrinare da una stanza d'albergo all'altra, alla ricerca di quella solitudine che consente agli innamorati di studiarsi prima di abbandonarsi all'attrazione dei corpi e lasciarli finalmente confondere, nudi e sfocati senza più pellicce e orecchini di perle a mantenerli nei ranghi.
La macchina da presa gira da Carol a Therese con classe e raffinatezza, riprende gli spazi vuoti di comparse senza volto, aspetta dietro ai vetri delle tavole calde e delle macchine che scorrono via senza risposte, sigaretta dopo sigaretta, una per ogni occasione perduta: è il potere dell'immagine, l'incanto che sposa consapevole la felicità della citazione (Brief Encounter di David Lean è omaggiato non solo nella sequenza iniziale e finale ma anche nella scelta nel treno, se pur giocattolo, come galeotto responsabile dell'amore fra le due) e la fa propria per raccontare di sentimenti fiammanti e paralizzati dal destino, del coraggio di emergere a costo di perdere tutto in un mondo di uomini che prova ancora a vendere la libera scelta di una donna come un momento di passeggera fragilità, di un percorso di maturazione e affermazione personale che consacra la Therese di Rooney Mara, nonostante l'eponimo titolo e la straripante personalità del personaggio di Cate Blanchett, come protagonista assoluta; solo la scintilla nell'occhio di una fotografa, vestita come una novella Audrey Hepburn e resa ancora più spavalda dall'accompagnamento della straziante musica di Carter Burwell (qui molto affine al miglior Philip Glass), per trovare in mezzo alla folla l'amore che non si può perdere e affidarlo al cinema, perché possa finalmente vivere in un'alba perpetua.
Note:
1)Per la Blanchett è il secondo adattamento da un romanzo di Patricia Highsmith, dopo il caro vecchio Il Talento di Mr Ripley. Mi piace pensare che in un universo parallelo l'adorabile e frizzante Meredith Logue e Carol Aird siano state almeno cugine di primo grado;
2)Goldenglobometro/Oscarometro: il fatto che sia tornato all'asciutto dai Golden Globe non fa sicuramente ben sperare per qualche statuetta, ma un po' di nomination arriveranno senz'altro (altrimenti li picchio) e qualunque premio sarà ben accetto. Solo un appunto: perchè accidenti dovete fare passare Rooney Mara come non protagonista quando è chiaramente la vera protagonista del film? Se è una tecnica per aumentare le sue possibilità di vittoria ci posso stare, altrimenti, boh, I DON'T UNDERSTAND, ILLUMINATE ME PLEASE.