A ben vedere, il grande Orazio, che con Novalis potremmo definire il poeta-sacerdote per antonomasia, anticipa nella Ode Undicesima del Libro I dei suoi Carmina in questione, il senso stesso del passo Evangelico di San Matteo (Cap. 6, vv 25-34) con cui Il Messia ci invita a vivere, senza l’angoscia del domani, il giorno presente.
Secondo questa interpretazione il motto “Carpe Diem” non avrebbe nè un contenuto negativo o pessimistico di fronte all’esistenza, nè costituirebbe un invito a godere sfrenatamente dei piaceri, chiudendo gli occhi alla ricerca del vero senso della vita.
La fuggevolezza del tempo (fùgerit invida aetas) e la precarietà dei nostri domani (quam minimum credula postero) devono portarci alla ricerca di una felicità raggiungibile senza l’illusione della speranza di un domani che potrebbe anche non esserci (spatio brevi spem longam rèseces).
Questa di Orazio non è del resto la sola anticipazione di tematiche profondamente religiose (e forse escatologiche) che ritroviamo nel Vangelo.
Si pensi all’ Ode 14 del Volume Secondo dei Carmina (che potremmo chiamare “Eheu fugaces, Postume….), sulla fugacità inarrestabile del tempo, che contiene la mirabile esortazione di Orazio a non accumulare ricchezze sulla terra, in quanto altri più degnamente si troverebbero a goderne (…absumet heres Caecuba dignior….).
Chi non non riconosce nella figura di Postumo, creata dal poeta Orazio, il ricco stolto di cui ai versetti 15-21 del Capitolo 12 del Vangelo di San Luca?