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La vicenda è quella di un uomo, Phil (Bill Murray), presentatore e metereologo d'assalto di una televisione di second'ordine, che rimane imprigionato in un 2 febbraio, giorno della marmotta, in una sperduta località di provincia. L'uomo, attratto dalla sua produttrice (Andy MacDowell), è costretto a rivivere senza sosta questo giorno che lui ritiene inutile, in compagnia anche del vano cameraman Larry (Chris Elliott) in un comunità che non ha certo bisogno di particolari miracoli per sembrare noiosa e sempre uguale a se stessa.
Incarcerato nel suo presente, Phil ha la possibilità di esplorare un giorno di lavoro come un altro. L'uomo, forse per un errore nel "sistema", si accorge di essere in gabbia (un po' la stessa cosa che accade ad Harold in Vero come la finzione). Ma rimane solo, come l'uomo che uscì dalla caverna di Platone (Repubblica, libro settimo) e che non venne creduto quando tornò per dire che tutto era finto, che nel loro presente erano tutti prigionieri dei loro dozzinali inganni, ma che fuori da lì c'era un futuro vero.
Non che i compagni di viaggio di Phil non credano al futuro, anzi. Solo che credono di andargli incontro, mentre sono solo inceppati nel loro allegro circo. Phil, invece, sa che il tempo che resta è davvero poco: quello di un giorno che si ripete sempre uguale e a cui solo la sua coscienza di essere in una trappola gli consente di sfuggire. Da un punto di vista narrativo, infatti, il problema si pone dal fatto che il personaggio impara (e quest'aspetto è reso esplicito dal fatto che Phil diventa un perfetto pianista e un ottimo artista del ghiaccio), vale a dire fa tesoro dei mille oggi in cui è incappato per farne tesoro. Non saprei dire adesso quale teoria pedagogica si fondi programmaticamente sullo scorrere del tempo, ma non potrebbe trovare esempio più luminoso ed efficace.
Phil è cosciente del tempo disponibile e perciò continua a vivere in una dimensione lenta: può acquisire dati, conoscenze e abilità, stupire i suoi colleghi e gli altri, mentre il suo progressivo inserirsi nel mondo della provincia e della marmotta metereologa costringe ciascuno a svelarsi in fretta e a imparare chi è l'uomo accanto venuto da lontano a vivere lì quel rituale due febbraio. L'apprendere degli altri è, però, segnato dalla meraviglia, dall'improvvisa illuminazione, non dall'impegno, non dalla storia che si insinua nelle vene di chi impara. Tutto il patrimonio a cui si rifanno coloro che non conoscono la loro trappola - ammesso che non si tratti di un miracolo che riguardi il solo Phil - è un'esperienza che non si può accumulare: loro non hanno il tempo, per dir così, di dormirci su.
I personaggi di Ricomincio da capo hanno solo una strada per percorrere il loro presente. Non c'è modo di fissare in loro quell'oggi, dunque non manca solo il domani, manca anche la storia, manca un tempo di cui si possa dire ieri. Questo singolare film di Harold Ramis riguarda l'inattingibilità del tempo più che il suo riproporsi, riguarda l'attimo che sfugge e che solo quale dono viene consegnato a un uomo: un po' come il Natale viene regalato all'indimenticabile Scrooge del Christmas Carol dickensiano, antonomasia dell'uomo congelato nel suo presente sempre uguale. Ma il paradosso spazio-temporale-metereologico rimane solo l'ingrediente più accattivante di una commedia gradevole, ben recitata e ben diretta, che non sa raccontare l'uomo e la sua storia, ma solo le sue relazioni.
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