Il suo documentarismo d'inchiesta non cerca la realtà nel suo farsi, non va alla caccia di una verità pronta a dischiudersi come potrebbe succedere con il cinema. Il suo documentarismo prende la Storia passata, già successa, commentata, fatta a pezzi, e la usa per trarne un senso universale. A livello superficiale la vita di Limonov - che sto scoprendo pagina per pagina, essendo solo a metà libro - interessa soprattutto per l'assurdo avventurismo, per tutti gli elementi novecenteschi e detestabili che contiene, per ciò che allo stesso modo ha di ridicolo e patetico. Ciò che interessa a Carrère, però, ed è qui il legame con Herzog e Grizzly Man, non è solo la sua natura romanzesca, ma anche e direi soprattutto il grado d'investimeno individuale che la biografia di Limonov chiama in causa, la finitezza dell'individuo comune - cioè Carrère stesso, e ogni lettore più o meno normale del libro - posta di fronte a una vita unica e irripetibile. Come Herzog di fronte a Timothy Treadwell, l'uomo che era convinto di poter vivere con gli orsi dell'Alaska ed è finito sbranato, Carrère ha nei confronti del suo personaggio un rapporto di distanza e ammirazione, di invidia e insieme di disprezzo, e lo dice apertamente, non si nasconde, si butta dentro il suo libro con tutto il peso ingombrante delle annotazioni sulla sua vita, e fa capire più di ogni altra cosa, dietro le agili e appassionanti rievocazioni storiche e biografiche, di scrivere soprattutto per se stesso, di scrivere e raccontare, così come per Herzog deve essere filmare o commentare immagini create da altri, per capire cosa unisce un essere umano moderato, intelligente e onesto come lo stesso Carrère, o come l'Herzog ormai invecchiato che parla della follia di Tradwell, davanti all'esempio di una persona evidentemente fuori dal comune, un superuomo, come Carrère a un certo punto definisce sia Limonov sia Herzog, che di eroico e romantico non ha nulla, che anzi scivola spesso nel povero stronzo invidioso e convinto della propria superiorità, ma che sembra esistere soprattutto per ricordare agli altri il peso delle loro scelte, i limiti delle regole sociali e dei contesti storici che condizionano ogni vita comune
Carrere scrive che se oggi Herzog si ricordasse del suo comportamente poco educato, probabilmente si scuserebbe: e in effetti, a giudicare il tono delle sue parole in chiusura di Grizzly Man, una volta raccontata la terribile morte di Treadwell ("E mentre guardiamo gli animali nella loro scelta di vivere, nella loro grazia e ferocia, un'idea si fa sempre più strada: queste immagini non sono tanto uno sguardo sulla natura quanto piuttosto su noi stessi, sulla nostra natura. Ed è questo che secondo me, al di là della sua missione, dà significato alla sua vita e alla sua morte"), viene da pensare, che sì, oggi Herzog si scuserebbe, perché nel dubbio spaventato con cui ammette di giudicare la vita del suo personaggio si coglie la stessa onestà intellettuale che rende autentiche le pagine di Limonov. Quell'ontestà intellettuale che permette a Carrère di definire il suo eroe un un figlio di puttana, o Herzog un fascista, senza temere smentite o controgiudizi - dei diretti interessati e di chiunque altro -, forte com'è di un pensiero oggettivo che non fa mai riferimento alla finitezza di ogni vita, alla quotidianità meschina delle delusioni e dei rimpianti, ma alla "realtà della realtà" che egli stesso, probabilmente da credente, riconduce al cristianesimo e a una massima del buddismo ("L’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale a un altro non capisce la realtà"), ma che non si fa alcuna fatica ad attribuire anche all'arte e ai suoi universi assoluti.
Carrère fa della frase buddista citata (ripeto, "L’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale a un altro non capisce la realtà"), del vicolo cieco che pone di fronte a ogni tentativo di espugnare il reale dandogli un valore, l'obiettivo della sua arte e della sua vita. Le parole chiare e insieme impotenti del detto si intravedono dietro le celebri cronache di "vite che non sono la sua" che l'hanno reso famoso, dietro l'inattacabile limpidezza dei suoi giudizi su Limonov, e pure dietro la cazziata ad Herzog, sicuro com'è, forse proprio perché ha visto anche Grizzly Man, che pure nel cinema del regista tedesco l'idea di una realtà che non va misurata, bensì abbracciata e inalata, informa ogni immagine e commento: come apertuta al mistero, "come vertice della saggezza".
E in questo, nonostante non abbia ancora finito Limonov, vedo uno dei segreti per cui ha pur sempre senso scrivere, filmare e raccontare il reale. Non per capirlo, ma per sentirlo meno alieno e meno distante.