Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, ho trascorso qualche ora davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito.
La vita mi ha reso testimone di queste due disgrazie, una dopo l'altra, e incaricato, o almeno così ho capito, di renderne conto.
A me le ha risparmiate, e prego perché continui a farlo.
Mi è capitato di sentir dire che la felicità si apprezza a posteriori. Che pensiamo: non me ne rendevo conto, ma a quel tempo ero molto felice.
Per me non è così. Sono stato a lungo infelice, e molto cosciente di esserlo; oggi amo quello che è il mio destino, e della sua amabilità non ho un grande merito, la mia filosofia si riassume nella frase che, la sera dell'incoronazione, avrebbe mormorato Madame Letizia, la madre di Napoleone: "Speriamo che duri".
Ah, e poi: preferisco ciò che mi rende simile agli altri a ciò che me ne distingue. Anche questa è una cosa nuova.
(Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, Einaudi)