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In questo secondo episodio il trono di star passa alle ferraglie arrugginite di Cricchetto, impegnato a fare la spia, in modo del tutto accidentale, insieme ad altre due macchine, agenti segreti più esperti. Saetta McQueen, intanto, deve partecipare ad una gara mondiale, tenuta tra Giappone, Italia e Inghilterra, che vedrà per la prima volta l'uso obbligato di un carburante alternativo, probabilmente, prossimo a sostituire il vecchio petrolio. Ma qualcosa di strano si cela sotto tutto questo.
L’inaspettato inizio alla “James Bond” imprime subito la sensazione che questo episodio non seguirà per niente la falsa riga del primo. L’idea di una spy story con macchine per agenti segreti si rivela sicuramente interessante, però, dopo il primo quarto d’ora, il doveroso ritorno dei vecchi personaggi costringe il tutto ad una battuta d’arresto marcando la storia in maniera differente. La sensazione iniziale allora sparisce, tornano le corse e l'importanza dei rapporti di amicizia, quelli che c’erano stati già in passato. Della spy story rimane il contorno, sempre abbastanza presente ma non più in maniera assoluta come sembrava. Il film così inizia una serie di mutazioni che passano alternativamente da “James Bond” a “Mission Impossible”, da “Johnny English” ad “Agente Smart” senza perdere mai di vista il consueto DNA "Carsiano". Un’insieme di ingredienti che messi assieme potevano dar vita a svariati risultati, in base alle intenzioni. John Lasseter, regista del film nonchè anche direttore creativo Pixar e Disney, opta per una confezione di puro intrattenimento per bambini che, sebbene di tutto rispetto, non è affatto idonea a soddisfare a pieno le esigenze di un pubblico più adulto, magari abituato troppo bene, e di conseguenza irrimediabilmente deluso.
E’ ovvio allora intuire che il franchise di “Cars”, secondo la Pixar, è qualcosa dedicato esclusivamente ad un pubblico più piccolo e non c’entra nulla coi suoi colleghi “Toy Story” o “Up”, per esempio. Questo serve quasi da lezione per capire il tipo di orientamento che si è voluto prendere. E cioè creare uno spettacolo di riferimento dedicato esclusivamente ad una fetta di pubblico ben precisa, cosa quasi sconosciuta in casa Pixar fino ad oggi. Questo indubbiamente è molto comprensibile e inattaccabile ma c'è da considerare però che lo scettro di prodotti del genere si trova da anni in casa Dreamworks, e non è certo un vanto.
Allora adesso è lecito attendere un'altro capolavoro (sarà "Brave" ?, sarà "Monster University" ?). Il tempo di riprendere fiato è finito, ora bisogna rimboccarsi le maniche e soddisfare tutti i delusi che si trovavano in sala a vedere “Cars 2” pensando (erroneamente) di poter vedere un altro “Toy Story 3”. La Pixar questo lo deve sapere perché anche noi più grandi, a modo nostro, siamo sempre dei bambini (ma sono sicuro che questo loro lo sanno già!).
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