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Carson McCullers: la Ballata Solitaria del Caffè Triste

Creato il 21 ottobre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Claudia Santonocito21 ottobre 2013 Carson McCullers: la Ballata Solitaria del Caffè Triste

Era una tediosa domenica di fine estate, troppo uggiosa per andare al mare. Sarebbe quasi inutile aggiungere che fu automaticamente consacrata all’ozio. È proprio in questo scenario di torpore che si inserisce la coincidenza fatale. Pensandoci, le coincidenze nella vita possono produrre vari effetti, nel mio caso mi hanno spinta verso un libro. Sembra banale ma prima di quella domenica non avevo la più pallida idea di chi fosse Carson McCullers né di cosa trattasse il suo La ballata del caffè triste. Galeotto fu Facebook e uno di quegli aforismi solitamente sparsi sulle sue bacheche, frutto di ricerche di utenti più annoiati di me, ma il fatto è che mi innamorai immediatamente del titolo più che della frase in sé. Ma non fu solo questo, avvenne infatti che durante la lettura notturna di un’opera di Pennac (Come un romanzo, per chi se lo stesse chiedendo), mi scontrai nuovamente nello stesso titolo. Due volte nello stesso giorno voleva dire solo una cosa: quel libro voleva essere letto. E fu così che convinta che il libro volesse dirmi qualcosa, corsi a comprarlo qualche giorno dopo. L’ultima copia de La ballata del caffè triste (tradotto da Francesca Cancogni per Einaudi – Stile Libero Big) di Carson McCullers, quasi incastrata tra le varie “emme” dello scaffale, fu mia. La McCullers vanta sul suo curriculum una vita da eroina dell’Ottocento: problemi di salute, tentativi di suicidio, problemi coniugali, depressione. Ma a conti fatti era americana (1917-1967) e la sua esistenza fu così terribilmente triste e affascinante che, secondo me, servì da spunto per la costruzione dei suoi personaggi. La ballata del caffè triste è proprio questo, un insieme di racconti eterogenei tra loro e una parata di personaggi marginali, spesso grotteschi, accomunati dall’ossessione di voler aggrapparsi fino alla fine ad una vana speranza di felicità.

Carson McCullers: la Ballata Solitaria del Caffè Triste

Anche lo stile rispecchia i protagonisti delle storie narrate, è secco e senza orpelli, i sentimentalismi sono assolutamente banditi, e nel caso il lettore voglia fare il tifo per questo o quel personaggio si sentirà costretto a farlo in assoluto silenzio, quasi vergognandosi. Proprio il racconto più lungo La ballata del caffè triste, che poi dà il titolo al libro, ruota attorno ad una donna talmente austera da apparire fastidiosa, ma il lettore non potrà rimanere insensibile alla sua fragilità dopo che gli eventi le metteranno davanti un amore che si rivelerà traditore e opportunista. Non è tanto l’amore non corrisposto il fulcro del racconto quanto l’insostenibile sensazione di solitudine e di sconfitta che è riscontrabile anche negli altri sei brevi componimenti: Wunderkind, Il fantino, Madame Zilensky e il re di Finlandia, Il forestiero, Dilemma domestico, Un albero. Una pietra. Una nuvola. La sconfitta di un’adolescente davanti alla fine del “suo genio musicale”, la sconfitta di un fantino incapace di sopportare l’infortunio di un amico, la scoperta di un’inguaribile bugiarda, la solitudine di un uomo sconosciuto che parlerà d’amore ad un ragazzino seduto ad un bar, la solitudine di un padre alle prese con una moglie ubriaca e i figli da mettere a letto, la scoperta di dover tornare alle origini per riuscire ad amare sul serio: sono questi gli ingredienti della ricetta per la disillusione che ci propone l’autrice. Cosa voleva da me il libro? Non ne sono sicura, probabilmente desiderava che dopo sessantadue anni dalla sua uscita annotassi questa ricetta perché il fallimento dei rapporti umani e la solitudine continuano ad essere i mali anche del nostro tempo.

Carson McCullers: la Ballata Solitaria del Caffè Triste


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