Prosegue il confronto con Giuseppe Granieri, nel quale si sono inserite anche altre voci, su evoluzioni del giornalismo e sostenibilità economica. Un dibattito che mi entusiasma sia per la modalità che, ancorpiù, per l’opportunità che offre di allargare sempre più la visione sulle probabili tendenze future per l’industria dell’informazione.
Ieri Giuseppe, all’interno di “Media Shift”, spazio da lui curato per «L’Espresso», ha pubblicato, con grande sintesi ed efficacia, quali siano a suo avviso le tendenze che stanno ridisegnando il giornalismo.
Provo a seguire lo stesso schema per punti utilizzato nell’articolo così da facilitare il confronto.
A. LA CARTA [NON] HA FINITO IL SUO CICLO:
Se, da un lato, è indubbio che la carta come supporto presenti gli svantaggi che vengono ricordati, dall’altro lato presenta vantaggi e opzioni che la rendono sempre interessante sia per quanto riguarda gli investimenti pubblicitari che per l’informazione.
Elementi confermati dalla crescita di quasi il 10% degli investimenti dei principali brand del lusso, con un quotidiano: «Il Corriere della Sera» che fa parte del leone catalizzando da solo ben il 13% dei 702,9 milioni di euro che aziende come Prada, Dolce & Gabbana e Gucci, per citarne alcune, hanno investito nel 2011.
Non si tratta solo di eventuale miopia o arretratezza di centri media ed investitori pubblicitari, la carta resta la fonte d’informazione, all’interno di un consumo multimediale e multipiattaforma, non dei laggards, ovvero coloro che non dispongono degli strumenti culturali e dell’alfabetizzazione per accedere alla più competitiva forma di informazione digitale, come dice Giuseppe, ma di fasce di valore della popolazione, a cominciare dai top manager come evidenzia la ricerca “Decision Dynamics”, studio internazionale a cadenza annuale sulle attese, i criteri di presa decisionale e l’utilizzo dei media da parte dei top manager di tutto il mondo che Doremus, agenzia di comunicazione e ricerca internazionale, conduce, in collaborazione con il «Financial Times», dal 2003.
I limiti funzionali della carta possono, devono, essere integrati con soluzioni già disponibili quali la realtà aumentata che mi pare assolutamente la più convincente ed interessante sia per i contenuti informativi che per le proposte di comunicazione pubblicitaria tra le attuali possibilità.
La tecnologia che cambierà il giornalismo si chiama contenuto, apertura e condivisione.
B. IL CICLO DEL DIGITALE STA APPENA INIZIANDO:
Vero. Soprattutto per l’industria dell’informazione siamo assolutamente agli albori, all’esordio.
Si tratta di una combinazione di innovazione tecnologica a costi accessibili e di user experience che allo stato attuale è assolutamente deludente sia online che in digitale con soluzioni generalmente davvero puerili rispetto alle potenzialità del mezzo.
Credo che il processo mentale di comprensione ed assimilazione dell’informazione online abbia bisogno di studi approfonditi che identifichino al meglio le leve ed il design più efficace relativo. Molto deve essere ancora fatto sotto questo profilo prima di raggiungere la piena maturità di utilizzo del mezzo.
C. FATTORI INDUSTRIALI:
Ad alcuni aspetti, ed in particolare all’ipotesi dei laggards, credo di aver già risposto nel punto A.
L’ipotesi del passaggio ad un’edizione solo digitale di testate sulla carta mi lascia, perlomeno, perplesso.
Se certamente esistono elementi di costo che rendono difficile la distribuzione credo che l’informatizzazione delle edicole possa dare un contributo significativo a migliorare la situazione.
Penso che sia un errore che vanifica la costruzione del brand sino a quel momento ottenuta abbandonare completamente la pubblicazione su carta, come l’esperienza del «Seattle Post Intelligencer» sembra confermare; meglio, in casi di estrema necessità, ricorrere a soluzioni “miste” mantenendo una o più uscite nella versione cartacea.
Diverso ovviamente il discorso per chi nasce, nascerà, da oggi in poi.
D. NUOVE SOLUZIONI PER NUOVI PROBLEMI:
Si “siamo tutti editori“.
Se l’industria dell’informazione deve continuare a viaggiare sul doppio binario di relazione con i lettori, con le persone, e con le imprese, con gli investitori pubblicitari, si tratta evidentemente di lavorare coerentemente in questi ambiti.
Sul lettore, con le persone, è necessario tornare ad essere perno centrale dei loro interessi, delle loro conversazioni e dei diversi gruppi, delle distinte comunità, sia in Rete che fisicamente come, uno per tutti, il caso dei cafè come punto d’incontro con le redazioni esemplifica.
Come ho già avuto modo di affermare, in termini di posizionamento i giornali, l’informazione deve spiegare non mostrare, il bisogno è di capire non di vedere, di quello c’è già sovrabbondanza di offerta.
Per le imprese, gli investitori pubblicitari, in virtù della possibilità concreta di spaziare con un’offerta multimediale, organica, si tratta di riproporsi come consulenti di comunicazione offrendo loro quello di cui hanno bisogno e non, come spesso avviene oggi, [s]vendendo un tot al chilo l’unica merce disponibile. Un buon esempio in tal senso è Ideas People del The Economist Group.
Forse, nel complesso, dallo sgabello a tre gambe è necessario passare alla scala su cui reggersi. Ricercare nuove forme di ricavo che riescano a sopperire all’incolmabile gap tra revenues pubblicitarie della carta stampata e del digitale [mobile incluso] o, in alternativa, se la qualità e la segmentazione dei contenuti lo consente, puntare tutto, o quasi, sul lettore.
E. LE SOLUZIONI:
Molti spunti sono stati offerti sin qui nei diversi punti analizzati, credo di poter dire, su quali siano alcune delle potenziali soluzioni rispetto all’ipotesi evolutiva di scenario, per quanto ragionevolmente prevedibile.
Evidentemente non esiste LA soluzione ma esistono soluzioni diverse per realtà editoriali distinte, anche per questo non voglio spingermi oltre se non discutendo di casi specifici e non in generale.
Altre ancora, mi scuserete per la sfacciataggine, sono disponibili a pagamento poichè questo è il mio precario mestiere di dare consigli e soluzioni a chi è talmente avventato dal richiedermeli.
F. CONCLUSIONI:
Gli auguri mortali vengono da lontano, già Jean Baudrillard nel suo “Requiem for the Media” del 1972 si scagliava contro il sistema massmediatico unilaterale e verticale.
Nel 2005 faceva seguito Bruce Sterling, uno degli autori più influenti del cyberpunk, con “Dead Media Manifesto“: una guida per i palenotologi dei media che ne prevedeva il collasso.
Ultimo in ordine cronologico, Ross Dawson, poco più di un anno fa, ha sviluppato un’ipotesi di scenario relativamente a tempi e motivazioni che porteranno i giornali, così come oggi li conosciamo, ad una scomparsa definitiva. Secondo il celebre futurologo e conferenziere l’anno di estinzione dei giornali in Italia sarà il 2027.
Personalmente credo che i quotidiani [di carta] non moriranno, così come, ad esempio, l’avvento del cinema non ha decretato la morte del teatro o la televisione quella del cinema.
Per quanto riguarda l’Italia, mi piace immaginare, a lungo termine [diciamo 15 -20 anni, non prima, a seconda di quanto rapide saranno determinate evoluzioni culturali e tecnologiche], un futuro in cui i quotidiani di carta nel nostro paese continueranno ad esistere seppur decisamente ridimensionati in termini di numero di copie vendute, forse addirittura dimezzati.
Un futuro fatto di quotidiani di nicchia. Nicchie costituite da due grandi comparti: una specialistica [si pensi, a titolo esemplificativo, a «Il Sole24Ore» ed alla «Gazzetta dello Sport»] ed una costituita dalla somma dei quotidiani locali, ancora più specializzati e “vicini” alle comunità di riferimento. Un futuro nel quale alcuni quotidiani di seconda lettura, d’opinione si affiancheranno a massimo due generalisti nazionali, probabilmente «Corriere della Sera» e «Repubblica», segmento che vedo come maggiormente a rischio tra tutti.
Continueremo a giocare, passatemi la metafora, a “carta, sasso o forbici” per lungo tempo, credetemi.