Quando torno le tende tremano dalla finestra più bianca lasciandomi incerta fra i dubbi e il coraggio: così mi accosto facendo scricchiolare le foglie e le scarpe e penso: casa. Lungo la doccia una vena di calcare si è mossa di frazioni sostanziose come capelli, sui muri si aggrappano i saltapicchi e le moschine della frutta, la cucina riposa nella cipria dei muri scrostati. In qualche modo, casa. Ricordano allora i miei occhi spirituali delle molte volte che tutte quelle finestre tutte quelle porte si sono aperte o sbattute o socchiuse. Di come siano saliti alle travi i vapori delle vivande e gli intingoli o la nebbia delle docce appena fatte. O il sussurro spirituale o compitante delle parole lette su un divano, una poltrona dai braccioli rigati, un piccolo orto senza pozzi e senza sostegno, se non quello dato da chi sul serio capisce. Così mi accosto al muro e stupita mi dico: casa.
E le tende tremano. Potrò cancellare nulla, la mia sarà una vena d’acquarello, una mano felice che si amalgama e rimane.