E’ stato un po’ come chiudere una pagina della mia vita, vendere la casa nella quale ho vissuto con mio padre e mia madre per quindici anni e che poi ho frequentato per altri diciassette.
Sono arrivato lì che ero un ventiduenne sbarbato, pieno di sogni e progetti per il futuro. In quella casa ho studiato; ho vissuto le mie crisi giovanili; l’ho lasciata per un anno per il servizio militare; vi sono passati i miei amici e i miei parenti; mi ha visto trovare lavoro, fare politica, leggere, scrivere, guardare la tv; ridere, scherzare, litigare, piangere. Sognare.
Ho calpestato il suo parquet; sono scivolato sul suo marmo (fracassandomi un gomito, che ancora adesso funge da servizio meteorologico personale); vi ho appeso quadri, foto, calendari che hanno segnato inesorabilmente gli anni della mia giovinezza.
Vi ho mangiato, e tanto (agnolotti, tortelli, lasagne…); vi ho cucinato le mie prime torte; ho osservato il mondo di fuori dalle sue tre esposizioni; ho assaporato la frescura serale sui suoi balconi.
Poi l’ho lasciata quando mi sono sposato, ma ho continuato a viverla fin quando c’erano i miei genitori.
Quella casa ha vissuto le ultime ore di vita di mio padre e le ultime parole che ci siamo scambiati.
Ha vissuto la lunga e lenta malattia di mia madre, prima che anche lei la lasciasse definitivamente.
Ma ha vissuto anche i primi anni di vita di mia figlia; i suoi disegni, i suoi giochi, le nostre corse intorno al grande e massiccio tavolo del soggiorno.
Negli ultimi anni ha subito passivamente un lento ma inesorabile svuotamento di tutto ciò che la rendeva viva e alla fine ha affrontato degnamente le peripezie di un mercato immobiliare alquanto cialtronesco.
Ieri sera vi sono stato per l’ultima volta, con la scusa di chiudere per bene porte e finestre, ma in realtà per cercare di sentire ancora per qualche istante il profumo di persone e di anni che fanno parte della mia storia.
Ora vivrà una nuova vita. Altre persone, altri bambini cammineranno o scivoleranno sui suoi pavimenti; altre voci e altri suoni le ridaranno vita; altre luci la coloreranno e altri sapori ne investiranno le stanze.
E io quando la rivedrò proverò un po’ di nostalgia per i tempi che furono. Ma solo un po’…
P.S.: l’Italia diventerà un po’ più normale quando saranno aboliti i notai e lo Stato farà (aggratis) quello che fanno loro facendosi pagare migliaia di euro.