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Stasera mi chiedevo se scrivere qualcosa sulla festa della donna o se passare direttamente al post sulle cartucce ricaricabili. E mentre cantavo la ninna nanna a mia figlia queste due cose hanno dato il via ad un concatenamento di idee…
Ricaricare le cartucce, informatica, tutte cose “da uomo”… guardate nei forum di informatica e tecnologia e contate il numero delle donne… davvero esiguo! Quindi su questo ci si potrebbe scrivere (e molti l’hanno fatto) un libro, altroché un semplice post. Sulla diversità/complementarietà/uguaglianza tra uomo e donna.
Ma stasera, visto che questa festa serve a ricordare i nostri diritti, vorrei metterla su un altro piano. Quello della libertà.
Noi occidentali della nostra generazione siamo ormai donne libere. Possiamo studiare, lavorare, fare carriera… Dobbiamo tirare fuori di più le unghie, affrontare umiliazioni, combattere contro stipendi più bassi e capi allunga-mani. Però nessuno ci può dire cosa indossare o che dobbiamo restare a casa, non siamo costrette a chiedere il permesso per uscire, per comprarci qualcosa, per andare al lavoro, per trovarci con le amiche.
Grandi conquiste delle nostre madri. Che però, spesso, hanno dimenticato un altro diritto: quello di poter stare a casa e fare le madri a tempo pieno.
Negli anni della lotta per l’emancipazione fare la casalinga era un dovere per una donna; così, quando si è chiesta la libertà di scegliere cosa fare della propria vita qualcuna ha dimenticato che per alcune donne stare a casa e fare la madre potrebbe essere un’opzione piacevole, gratificante. Nella foga di cancellarlo come dovere si è cancellato anche come diritto.
Io ho fatto questa scelta dopo la nascita di Luca (in realtà l’avevo fatta molto prima di sposarmi…); quando mi è stato negato il part-time ho segretamente gioito perché stare a casa con i miei figli era il mio vero e profondo desiderio. Non nego che in alcuni momenti non sia stato difficile, però sono sempre più contenta di aver fatto quel passo così da “fuori di testa” secondo molte colleghe e conoscenti! Lasciare un lavoro a tempo indeterminato, un lavoro interessante (ero corrispondente commerciale in un ufficio estero), per stare a casa a… a far che? Pulire? Sentire piangere i bambini? Pulire nasi? Cucinare? Cambiare pannolini?
Sì e no. Nel senso che fare la casalinga non significa necessariamente passare le giornate con lo straccio in mano; un esempio su tutti è quello dei vetri delle finestre: non è detto che vadano puliti tutti i giorni… io li pulisco quando serve (ma proprio quando serve eh!).
Cucinare è una passione: se ce l’hai cucini anche dopo 8 ore di lavoro e con tre figli appiccicati alle gambe…
Quanto a stare con i bambini… per me è sempre stata una passione, da quando ero ancora bambina io. Mi riconosco in alcune amiche di Tabita che, quando sono qui, mollano giochi, televisione, amiche per giocare con Febe… io ero così: se c’era un bambino piccolo in giro non mi interessava niente altro… Il che non vuol dire che ogni tanto non mi urtino i nervi, non perda la pazienza, non provi anch’io il desiderio di fuggire da tre belvette urlanti che chiamano “mamma!!!!!”. Però i momenti in cui mi guardo intorno, nel caos della mia casa, e vedo i miei bambini e mi sento felice… sono così tanti e così profondamente appaganti che fanno pendere decisamente la bilancia verso i “pro” mamma full-time.
Ho altre attività, altri interessi, che occupano il mio tempo e credo che questo sia importante perché fare la mamma a tempo pieno non deve significare annullarsi per i figli.
Questa scelta, però, non la possono fare tutte le donne che ne sentono il desiderio. Gli ostacoli principali sono due: l’aspetto economico e quello culturale. Il primo è spesso un pretesto… mio marito fa l’impiegato e quando abbiamo scelto di rinunciare al mio stipendio non è stato facile… Però abbiamo sempre calcolato che due operai prendevano poco di più… E in quei casi, quando in due si raggiungono a stento i 1500 euro, come si può scegliere davvero di lasciare il lavoro? Con 800 euro al mese e magari 500 di affitto… davvero per una donna in questa situazione è un diritto andare al lavoro?
Il discorso culturale ha varie sfaccettature; dalla donna che non vuole dover chiedere i soldi al marito (ma come, se io lavoro in casa e tu fuori quei soldi sono di entrambi… almeno qui da noi funziona così!), a quella che ha paura di non poter più rientrare nel mercato del lavoro se un giorno dovesse averne bisogno, a chi non può licenziarsi perché il marito non glielo permette… perché in questi anni la donna deve lavorare…
Nel 2004 mi sono candidata a Consigliere Comunale. Sotto la mia foto nella lista dei candidati avevo scritto “Casalinga”. Lo ero da poco e l’avevo scritto con orgoglio. Poco prima di mandarlo in stampa, senza chiedermene il consenso, la candidata Sindaco l’ha sostituito con un bel “Ragioniera”… “Sai mi pareva proprio brutto casalinga…” mi ha poi detto con tutto il naso storto… Al di là del fatto che io sono un Perito Turistico, ma cosa c’è di male ad essere casalinga nel 2000, quando questa è una scelta consapevole e ponderata e non un obbligo?
Nel mondo che sogno ogni donna è libera. Libera di decidere della sua vita, libera di sposarsi o no, di studiare, di fare carriera, di avere dei figli, di lavorare, di stare a casa… magari, in quest’ultimo caso anche con un contributo dello Stato, come avviene in altri Paesi dell’Europa…
E mentre sogno auguro a tutte che questo prossimo anno che ci separa dalla prossima Festa della Donna porti maggior rispetto per tutte le donne, per il nostro cervello, per la nostra femminilità, per le nostre scelte. Auguri a tutte!