4. Via Alagon – Shinning
La casa di via Alagon è stata una metafora di com’era la mia vita in quel momento. Cercavo l’uscita e non la trovavo, come percorrere un corridoio infinito e non trovarne mai la fine.
L’appartamento era così: un corridoio infinito.
A piano terra, un primo corridoio, lunghissimo, dal portone d’ingresso alla porta di casa, poi, dopo l’ingresso, un secondo corridoio, lunghissimo, su cui si aprivano le due stanze ed il bagno dell’appartamento e che terminava nella cucina che si affacciava sul pozzo luce e sul secondo bagno (di cui per pudore evito di raccontare altro). Le pareti, immagino per prevenire, o meglio coprire, eventuali muffe, erano ricoperte fino a metà altezza da un rivestimento in plastica giallino, che ti seguiva per tutta la casa amplificando la sensazione di casa-corridoio.
Era talmente brutta che ancora oggi non riesco a capire come avessimo potuto pensare di passarci anche solo pochi mesi: è evidente che le gemelline dovevano averci esasperato e che il mio stato mentale non doveva essere del tutto lucido (non oso avanzare ipotesi su quello di mia sorella).
Il corridoio era talmente inquietante che a Lui faceva venire in mente l’albergo di Shinning e, ironico come sempre, cercava il triciclo ogni volta che entrava.
Era così: brutta, buia e insignificante.
Proprio come la mia vita in quel periodo.
Questa casa è ricordata qui solo perché vivevo lì quando ho imparato che se qualcuno ti dice “Comincia tu” non è mai un bene rispondere “No, vai tu…”.
E perché è stata testimone di una delle uscite più spettacolari della mia vita.
Anzi, il corridoio ne è stato testimone e protagonista al tempo stesso, complice lo spioncino.
La scena è ancora nitida.
La porta si chiude alle sue spalle, io spio Lui che esce di scena dallo spioncino.
Si ferma a metà del corridoio, sotto la lampadina più triste che abbia mai visto.
Poggia le spalle al muro. Solleva la testa.
Non so perchè, ma lo vedo con il cappotto che aveva la prima sera che siamo usciti, anche se è improbabile.
Io non respiro. Il cuore non batte.
Forse non sono nemmeno più viva.
Osservo la sua esitazione. Lo immagino mentre torna indietro e bussa ancora alla mia porta.
Non respiro.
Poi Lui si gira, guarda un’ultima volta verso la porta e ho la sensazione che possa vedermi.
Non batte.
Mi guarda.
Si volta.
Forse non sono nemmeno più viva.
Ed esce dalla mia vita.
Per sempre.
E io non respiro. Il cuore non batte.
Forse non sono nemmeno più viva.