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Credo di aver smesso di vivere in quei pochi secondi, appoggiata alla porta di quel bruttissimo corridoio di via Alagon. E quando ho ripreso a vivere, pochi attimi dopo, ho dovuto provare ad imparare a convivere con la sensazione della mancanza d’aria e di non vivere le giornate perché non le potevo raccontare a Lui.
Non ci sono riuscita. La casa mi ha assorbita ed inglobata e non ne sono più uscita.
Fino a quando Emme non è venuta a portarmi via di peso, a casa sua, a Villa Pi. dove giorno dopo giorno ho ripreso contatto con me stessa e con la mia vita.
Villa Pi. era una villa solo per modo di dire, in realtà era una palazzina di 3 piani, con vista sullo stagno, dove i genitori di Emme erano proprietari di un appartamento al terzo piano, uno al secondo e qualche anno dopo avrebbero coronato i loro sogni riuscendo ad acquistare anche l’attico, che dei buoni lavori di ristrutturazione avrebbero collegato abilmente all’appartamento del terzo piano.
Emme e suo fratello vivevano al secondo piano, dove era sempre pronta per gli amici, ma principalmente per me, la stanza affianco a quella di Emme. Credo di non essermi mai sentita tanto coccolata e supportata come in quel momento. Ma Emme era un po’ così, all’epoca, se entravi sotto la sua ala diventavi totalmente sua e lei decideva per tutti. La adoravo, era infinitamente rassicurante. Un po’ come una classica mamma italiana. Ma alla lunga, anche i figli più affezionati crescono e quando ricominciai a respirare tornai nella casa corridoio per riprendermi la mia vita.
Quell’anno però, in città, erano stati fatti diversi lavori per dragare i canali di accesso allo stagno e risistemarli: ottimo progetto, portato avanti con le migliori intenzioni. Peccato che, durante questi lavori, l’invasività di ruspe & co. avesse distrutto le tane di tutti gli animali che sotto quei canali ci vivevano. E, come potete immaginare, i suddetti animali non appartenevano alle categorie più simpatiche alla cittadinanza. La città era invasa dagli scarafaggi e dai ratti. Entrambi, a dire la verità, avevano sempre fatto parte della fauna cittadina (un po’ come i gatti di Roma), ma quell’anno non notarli era diventato veramente impossibile. La casa corridoio, che di suo aveva la fortuna di essere al piano terra e quindi decisamente accessibile ad ogni razza di questi sfortunati, decise di accogliere uno sventurato ratto randagio e senzatetto nel bagno. Quando mia sorella mi chiamò per dirmi che aveva trovato nel bagno segni fecali della sua presenza non immaginavo lo sfacelo che un "topino" potesse combinare: in realtà le tracce fecali facevano pensare che al posto di un ratto fosse passato da quel bagno un dinosauro e sembrava veramente impossibile che una cosa di quelle dimensioni potesse trovare un angolo dove nascondersi, ma dato che non credevamo ai fantasmi né alla capacità del dinosauro di attraversare i muri, evidentemente da qualche parte doveva essere.
Il padrone di casa, invece, credeva nei fantasmi o non credeva a noi: la sua reazione alla notizia non fu tanto conciliante, come se avessimo invitato noi il topone, di cui comunque lui negava l’esistenza dichiarando che, avendo lavorato per tanti anni all’acquedotto, lui si, che li conosceva i ratti, e non potevano certo fare tutto quello schifo… non ho mai capito se in quel modo stava accusando noi di averlo fatto.
Comunque, il ratto, pace all’anima sua, si fece un bel cenone a base di veleno, io quasi mi intossicai sniffando i cinque litri di candeggina che gettai per tutto il bagno allo scopo di disinfettarlo e, in capo ad una settimana, mia sorella ed io avevamo lasciato l’appartamento.
Dato che non ne avevamo uno di ricambio a disposizione lei si trasferì dal ragazzo ed io tornai per un breve periodo a Villa Pi. Almeno fino a quando non trovammo finalmente l’appartamento dei nostri sogni.
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