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Casi di vampirismo in Prussia e Austro-Ungheria tra il '600 e il '700

Creato il 04 giugno 2011 da Mcnab75
Casi di vampirismo in Prussia e Austro-Ungheria tra il '600 e il '700

Jure Grando era un bracciante e viveva nel villaggio istriano di Khring (Kringa). Nel 1656 morì durante il lavoro. Nel 1672 a Khring scoppiò una strana epidemia. I bambini e le donne soffrivano di forte anemia. Quest'ultime sembravano anche avere dei disturbi di origine sessuale. Per motivi ignoti il capo villaggio, il prete e i notabili arrivano ad accusare Jure Grando, oramai morto da anni, di essersi tramutato in vampiro e di tormentare le brave genti di Khring.

Di giorno disseppellirono la bara, protetti dai benevoli raggi solari. Il guardiano del camposanto, su ordine del capo villaggio, piantò un paletto di frassino nel cuore di Grando. Poi, giusto per essere sicuri che il presunto vampiro non riuscisse comunque a sopravvivere, lo decapitò.

 

Tra il 1721 e il 1734 ci fu un susseguirsi di attacchi di vampiri nella Prussia orientale. Le cronache ne parlano, la notizia è verificabile, se avete voglia di gironzolare per biblioteche e di documentarvi. I casi riguardavano soprattutto province periferiche e campagne, mai le grandi città. In questo si denota una grande differenza rispetto alla moderna rappresentazione dei nosferatu, trasformarti in veri e propri parassiti metropolitani.

Col senno di poi tali manifestazioni vengono giustificate con delle ben più scientifiche epidemie di rabbia, malattia che rendeva gli infetti intrattabili, a volte violenti e, specialmente nelle ultime fasi della malattia, simili a “mostri”. Non a caso l'ultimo stadio della rabbia provoca lacrimazione permanente, priapismo, aggressività, paralisi delle corde vocali. Visto che la Prussia era ricca di animali selvaggi di solito soggetti a questa malattia, volpi, lupi, cani e pipistrelli, è facile se non addirittura probabile che fu proprio un'epidemia di rabbia a far annotare su alcune cronologie gli “attacchi vampireschi” che furono sedati dalle autorità.


Casi di vampirismo in Prussia e Austro-Ungheria tra il '600 e il '700

 

Un noto abate, Augustin Calmet, si premurò di scrivere un poderoso saggio di 900 pagine che doveva rappresentare l'ultima parola sulle creature chiamate “vampiri”. Correva l'anno 1746 e il buon Calmet riuscì effettivamente a pubblicare un lavoro massiccio e imparziale, che riportava sia casi fortemente sospetti (almeno per le conoscenze mediche di allora), sia episodi riconducibili a spiegazioni razionali e scientifiche.

Negli anni immediatamente successivi al lavoro di Calmet ci furono diversi focolai di “vampirismo” in tutto il territorio che pochi decenni dopo sarebbe diventato noto come Austria-Ungheria. Una strisciante follia collettiva scoppiò soprattutto nei distretti orientali del Sacro Romano Impero. Le genti di Serbia, Ungheria, Transilvania e Croazia, molto superstiziose, diedero il via a una serie di profanazioni di massa delle tombe, al fine di impalare e decapitare tutti i cadaveri sospettati di diffondere il morbo della non-morte.

Fu Maria Teresa d'Austria in persona, l'imperatrice, a prendere in mano la situazione. Nel 1755 inviò a est il suo archiatra personale, l'olandese Gerard Van Swieten, coadiuvato da un piccolo ma esperto team di medici, scienziati e ricercatori. Il compito di questi dotti era quello di trovare una soluzione per la follia dei sudditi slavi, oramai adusi a combattere il vampirismo nel più barbaro dei modi.

Van Swieten eseguì molte ricerche sul campo, scoprendo una serie di malattie più o meno gravi che i villici scambiavano per vampirismo: anemia, rabbia, cefalea a grappolo, porfiria, morti premature. Alla fine stese un sapporto a Sua Maestà, sostenendo che i non-morti non esistevano affatto. Maria Teresa d'Austria promulgò quindi delle leggi che vietavano la profanazione dei cadaveri. Ciò bastò per ridurre notevolmente il “panico vampiresco” dei distretti rurali dell'est.

Ma ovviamente la leggenda dei nosferatu non cessò di esistere. Semplicemente entrò in letargo.


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