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Caso Juncker, la matrioska delle bugie

Creato il 16 novembre 2014 da Albertocapece

matrioska7Non posso che dire benvenuto il caso Juncker e ora anche quello del neo vicepresidente della commissione Ue, Timmermans che avrebbe graziato la multinazionale americana Starbucks dalle tasse dovute in Olanda. Benvenuto perché in questi giorni abbiamo una possibilità quasi unica di dare uno sguardo alle viscere della persuasione e dell’informazione, ossia ai meccanismi con cui vengono oscurate la logica e la ragione, trasformando le contraddizioni  reali  in una pura dialettica emotiva che naturalmente non porta da nessuna parte e che anzi sterilizza le capacità di dare un senso complessivo a ciò che accade. Le modalità sono le stesse della retorica antica e della pubblicità – nihil sub sole novi- ma esprimono una peculiarità tutta del XXI° secolo, vale a dire quella di essere di essere divenute discorsi e narrazioni quasi indipendenti dai soggetti che le propongono, di essersi trasformati in uno Zeit Geist che ammorba tutto.

Per carità non sono certo venuti meno gli arcana imperii, anzi una ristretta serie di soggetti determina strategie che non affiorano quasi mai alla luce del sole e provocano un’inedita densità della menzogna pubblica. Per esempio gli enormi sconti di tassazione avvenuti sotto l’ala di Juncker e Timmermans erano ampiamente conosciuti e quando il ministro delle Finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem, dice che “l’ultima cosa che i Paesi Bassi vogliono è quella di diventare un luogo di evasione fiscale”, si dimentica di essere stato fino all’altro ieri collega di governo di Timmermans, dunque non solo a perfetta conoscenza dei fatti, ma anche complice. Tuttavia si tenta di far credere che ai più alti livelli dei Paesi della comunità nessuno sapesse che il Lussemburgo, lungamente governato da Juncker  è un paradiso fiscale o fosse ignoto l’affaire Starbucks che peraltro in Gran Bretagna, senza alcuno scandalo, non paga un soldo di tasse da tre anni pur avendo un fatturato di un miliardo e mezzo di euro.

Ma questo è solo il primo livello della menzogna, quello destinato al grande pubblico. Il secondo, riservato alle elite, è che la tardiva e un po’ ridicola scoperta dei segreti di Pulcinella  si inserisce nella battaglia per il Trattato transatlantico, una sorta di ricatto trasversale per spezzare le resistenze all’accordo sulla risoluzione delle controversie che in pratica permetterebbe ai centri finanziari e alle multinazionali di mettere in mora le legislazioni nazionali in merito al lavoro, all’ambiente, alla salute, alla tutela dei beni pubblici. I vecchi poteri fanno naturalmente un po’ di resistenza su questo aspetto specifico, non tanto in nome del buon governo e della democrazia quanto per la riduzione del loro peso che questo comporta. Per questo Londra Washington si sono immediatamente attivate per spazzare via le riluttanze.

Il terzo livello, focalizzando le luci sullo “scandalo”, nasconde invece dietro il paravento emotivo, una contraddizione di fondo capace di decostruire la narrazione liberista europea: perché le azioni di Juncker e compagnia sarebbero in qualche modo riprovevoli quando la dottrina di Bruxelles ci dice che la competitività impone livelli di tassazione sempre più bassi per le aziende? Non sentiamo dirci ogni giorno, anche dai cazzi buffi nazionali, che gli sgravi fiscali alle imprese (attuati anche nella legge di stabilità) sono indispensabili alla ripresa e all’occupazione? E non sono proprio quelli che si scagliano contro Juncker e compagnia con maggiore indignazione, a chiedere zero tasse e precarietà assoluta in nome della competitività?

Certo i soldi mancanti debbono poi conferili i poveracci sia con il rialzo delle tasse indirette, sia con la caduta dei servizi, delle tutele, del welfare. Ma questo è un piccolo particolare che viene trascurato. Il fatto è che – stando alla dottrina attuale – Juncker e Timmermans dovrebbero ricevere una medaglia piuttosto che la riprovazione per i loro sconti fiscali a la carte, peraltro perfettamente conosciuti. Infatti gliel’hanno data con le due massime poltrone operative della Ue. Ma adesso conviene di più stare al gioco del cauto biasimo di circostanza,  attivato proprio da Londra che ogni giorno peraltro annuncia nuovi sconti fiscali alle grandi imprese, piuttosto che scoprire l’orrenda logica di base permettendo al vasto pubblico di collegare in un insieme sensato e denso di implicazioni le notizie che giungono.

La tecnica complessiva è quella che in pubblicità corrisponde a ciò che si chiama regressione cognitiva e consiste nella separazione emotiva degli eventi, ognuno dei quali fa di per sé riferimento a valori, percezioni, pregiudizi radicati o a truismi di generale accettazione  che poco o niente hanno a che vedere con prodotto o in questo caso con il collegamento finale degli eventi stessi. Il quale deve invece rimanere accuratamente nascosto. Il punto uno è che per molti anni e in barba ad ogni evidenza storica* si è fatto credere che la prosperità e la crescita nascano da bassi livelli di tassazione soprattutto dei redditi alti sia personali che di impresa e in ragione di questo falso articolo di fede ormai interiorizzato, si impone da parte della troika il massacro del lavoro, dei salari e delle pensioni. Il punto due è che si depreca che alcuni personaggi, pienamente implicati ad alto livello in questa dottrina, si siano adoperati per diminuire le tassazioni di grandi imprese finanziarie e produttive, facendo appello a valori diametralmente opposti di correttezza, di uguaglianza, di solidarietà, persino di buon senso. Il punto tre è che si deve impedire il più possibile che i due punti vengano messi a confronto e facciamo lievitare una qualche consapevolezza della contraddizione. Le bugie sono come matriosche che stanno una dentro l’altra, senza che però nessuna sappia dell’altra.

*Le statistiche economiche ci dicono il trentennio dalla fine del confitto mondiale alla metà degli anni ’70 è stato  quello di maggior benessere e crescita che si ricordi da molti secoli. Disgraziatamente per i teorici liberisti è stato anche il periodo di più alta tassazione che si conosca, con aliquote massimali sulle imposte dirette che nei Paesi più avanzati (Usa compresi) arrivavano al 90% . Questo permetteva una efficace redistribuzione del reddito e dunque un diffuso allargamento dei consumi. 


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