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Caso MPS: stavolta il “non poteva non sapere” vale per il Pd.

Creato il 30 gennaio 2013 da Nazionalpopolare70 @nazionalpop70

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La storia del Partito Democratico è il risultato di un lungo percorso, di un lento avvicinamento, che ha visto protagonisti la sinistra democristiana, ovvero i cattolici democratici, e i comunisti, poi divenuti “ex” dopo la caduta del Muro di Berlino. Un processo lungo e difficile, frammezzato da momenti anche drammatici, battute d’arresto, e poi ancora conseguenti accelerazioni. Non c’è dubbio, però, che l’attuale Pd sia il risultato di un’onda lunga, di un pensiero lungo; l’idea originaria era proprio quella di Aldo Moro, il democristiano meno compromesso, fervido sostenitore dei governi di centro-sinistra degli anni 60 e poi del cosiddetto compromesso storico del decennio successivo con i comunisti, in seguito definito più modestamente come solidarietà nazionale.

Il Partito Democratico, insomma, è il frutto di un progetto politico piuttosto risalente con il quale si riteneva possibile la convergenza di credenti e non credenti (in qualche caso addirittura anticlericali) in un’unica formazione politica profittando anche della mancanza, a causa dei terribili anni di Tangentopoli, di un forte partito socialista.

Che al Pci (poi divenuto Pds, Ds, ed infine Pd) piacessero gli “affari” è ben dimostrabile dalla grande capacità di mantenere, economicamente parlando, un apparato partitico che ha sempre avuto pochi rivali nel mondo occidentale. Il Pci – così come tutte le sigle successive – non è mai stato un comitato elettorale ma un partito fortemente burocratizzato capace di mantenere solidi agganci col territorio, non solo nelle cosiddette regioni rosse.

Insomma, non parliamo di “tangenti” (o di un rapporto parossistico col denaro) ma soltanto di una spiccata capacità finanziaria, anche “salottiera” e di “relazione”.

Sotto questo aspetto si possono ricordare gli ottimi rapporti tra Agnelli e il Pci. Oppure i non troppo sbandierati legami che il Pci anni 80, compresa la corrente “modernista” del futuro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, soleva intrattenere con un giovane imprenditore di nome Silvio Berlusconi (vicenda descritta mirabilmente nel fondamentale libro di Michele De Lucia, “Il Baratto”). O ancora si pensi al consolidato sistema delle Coop rosse che, al netto dei dubbi “espressi” dagli avversari politici, ha fatto letteralmente impazzire concorrenti come quel patron di Esselunga capace di ingaggiare una lunga battaglia legale lamentando l’abuso di posizione dominante da parte del gigante cooperativo.

Fino ad arrivare a vicende più recenti, ormai divenute di pubblico dominio, grazie, una volta tanto, non ad una inchiesta della magistratura ma ad uno scoop giornalistico.

In realtà che qualcosa non andasse nella gestione dei Monti dei Paschi di Siena se n’erano accorti in tanti, ma a metterci il naso sono stati soprattutto quelli del Fatto Quotidiano ed il bravissimo Marco Lillo.

Chapeau. Anche perché l’attenzione mediatica ha portato alle dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza dell’Abi, la potente associazione dei banchieri italiani. Una sorta di Confindustria dei banchieri.

Certo, sostenere che in quel di Siena il Pd “non c’entri” è davvero difficile, se è vero com’è vero che Mussari aveva forti contatti con il Pd nazionale ed ovviamente con quello locale e se è vero che le nomine presso la fondazione MPS erano politiche così come politica era la gestione dei soldi generosamente devoluti a favore del territorio senese. Con risultati anche importanti, per carità, ma con modalità che, per forza di cose, si sono rivelate col tempo particolarmente nebulose.

Tutto inizia con l’acquisizione, da parte del Monte di Paschi di Siena, della Banca AntonVeneta, per la mirabolante cifra di 10 mld di euro. Davvero singolare, perché la parte venditrice, ovvero il Banco Santander, si sarebbe ampiamente accontentata di una cifra vicina ai 7 mld, considerevole, ma comunque inferiore rispetto a quella erogata da MPS. L’operazione è stata finanziata dalla fondazione MPS; da qui la necessità di compiere un aumento di capitale, non sufficiente però a garantire il ripianamento del buco di bilancio creatosi con l’improvvido acquisto. Ed è a questo punto che vengono fatte le spericolate operazioni finanziarie, con tanto di derivati, capaci di aumentare i problemi, invece che risolverli, al punto da portare l’avv. Mussari alle dimissioni.

Il MPS, dopo giorni di passione in Borsa, accetta i Monti Bond sui quali, nel frattempo, si è sviluppata una forte polemica politica: i quasi 4 miliardi che il governo ha offerto per il ripianamento del buco di bilancio coincidono con quelli “estorti” agli italiani a seguito dell’imposizione dell’IMU sulla prima casa.

Alcuni contestano quest’ultimo punto, altri lo avallano; in realtà, considerando la perfetta fungibilità del denaro, si può ritenere che comunque i soldi incassati dallo Stato grazie all’odiato balzello siano stati utilizzati per ripianare i buchi (conosciuti) di una banca privata molto vicina ad un partito della maggioranza.

La magistratura indaga: staremo a vedere. Anche se già a questo punto si può certamente dire come il sistema di controllo (Bankitalia, Abi, financo Consob) abbia ancora una volta mostrato tutti i propri limiti, esattamente come nelle altre vicende che in 30 anni hanno sconvolto il panorama economico-finanziario italiano e soprattutto il portafoglio di tanti piccoli risparmiatori.

Le ultime indiscrezioni lascerebbero paventare un quadro ancor più inquietante: si sta facendo strada l’ipotesi che il sovrappiù pagato per acquisire AntonVeneta nasconda rilevanti tangenti spartite tra manager (e forse politici) spagnoli e italiani, denaro poi parzialmente rientrato grazie al tanto criticato “scudo” fiscale voluto da Tremonti.

A questo punto sorgono spontanee almeno un paio di domande.

Prima di tutto ci sarebbe da chiedersi se Mario Monti, Presidente del Consiglio in carica, capace di vantare molteplici conoscenze nel mondo bancario al punto da candidare nella propria lista esponenti del cda di MPS, fosse davvero all’oscuro delle vicende riguardanti il Monte dei Paschi e soprattutto delle rischiose manovre finanziarie compiute dal suo gruppo dirigente. Che MPS fosse in cattive acque lo si poteva intuire da tempo; bisognerebbe capire se chi ha guidato il governo sapeva qualcosa di più o se invece ha preferito far finta di nulla. Il ministro dell’economia Grilli ha recentemente dichiarato che il governo conosceva da un anno la difficile situazione della banca senese, precisando però che i controlli erano di competenza di Bankitalia. Sarà. Ma di certo il livello tecnico-politico non si può autoassolvere così facilmente. Soprattutto considerando che gli italiani hanno sostanzialmente pagato con la tassa sulla prima casa quel Monti Bond con il quale lo Stato spera di ripianare il buco di bilancio – non ancora esattamente quantificato e pertanto probabilmente ancora più ampio – creato dagli spericolati banchieri. Ed a questo punto si potrebbe configurare un’ipotesi particolarmente odiosa per il governo Monti: quella di aver compreso lo stato delle cose, in particolare le azioni criminogene poste in essere per l’operazione AntonVeneta con tanto di finanziamenti illeciti a politici e banchieri, preferendo, nonostante tutto, “scaricare” le perdite sulle spalle dei contribuenti.

L’altra domanda che ci si può porre riguarda proprio il Partito Democratico: possibile che i piddini, di “casa” all’interno del MPS, non si siano mai accorti di nulla? Davvero il Pd ignorava le operazioni poste in essere dal board del Monte dei Paschi pur avendo propri uomini ovunque, sia all’interno della banca, sia nella fondazione che la controllava, così come in tutte le istituzioni cittadine e locali che beneficiavano di generose elargizioni? E’ davvero credibile ritenere che nel 2007, con il centro-sinistra al governo da oltre un anno, nessuno si fosse accorto di ciò che Mussari stava combinando per l’acquisizione di AntonVeneta? E come mai nessuno si preoccupò di chiedere spiegazioni per l’anomalo costo dell’operazione? Possibile, infine, che il Pd non sia minimamente responsabile per una città come Siena che a parte il Monte era già balzata agli onori della cronaca per i buchi nei bilanci di università e comune?

Insomma, il “non poteva non sapere”, usato generosamente in passato per altri, potrebbe, stavolta, risuonare anche per il Partito Democratico.



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