Anna Lombroso per il Simplicissimus
In attesa che alla signora Karima El Mahroug, un tempo ‘Ruby Rubacuori’ – di volta in volta sfacciata puttanella, minorenne traviata, sfruttatrice di lenoni, sfruttata dai medesimi, vittima di una infanzia sventurata, profittatrice di vecchi porci in cerca di bersagli infantili, eccetera, eccetera, vengano assicurati una posizione e un trattamento di tutto rispetto magari mediante una carica elettiva, secondo regole, che pur nel necessario cambiamento, avevano favorito la nomina della sua garante Minetti e di altre ed altri altrettanto inadeguati, oltraggiosi sorprendenti rappresentanti del popolo – mi voglio concedere il lusso di dire “avevo ragione”, esercizio di solito interdetto alle cassandre che vengono zittite prima della conferma delle loro audaci profezie. Ma viviamo in tempi di tollerante indulgenza, o forse di così estrema sordità che nessuno le sta a sentire e così sopravvivono all’avverarsi delle più fosche previsioni.
Quando tutta la società civile decise per la festosa scampagnata del “senonoraquando”, riuscendo ad orchestrare quella che ai più creduloni parve riprovazione in attesa di qualcosa di arcaico e dimenticato di nome opposizione, quando le donne e gli uomini più “avveduti” decisero di dire basta! scendendo in piazza a milioni, allora ebbi, con pochi altri e ancor meno altre, l’ardire di dire che, a me, non bastava! Che non era sufficiente dimostrare contro il vecchio porcello, ma che ci si doveva battere contro il porcellum, che lo sfruttamento del corpo e dell’immagine delle donne era una sacrosanta esibizione di civiltà, ma che era un segmento dell’uso e dello sfruttamento a scopo mercantile dei corpi e dei cervelli di tutti indistintamente, perché era in atto una tremenda e inarrestabile mutazione che stava conducendoci alla schiavitù.
Allora mi permisi di dire che la mobilitazione di una sinistra annacquata contro il protervo vizioso non era “meglio di niente”, no, era peggio, perché deviava e distraeva dalla tolleranza di anni del conflitto di interesse, diventato interesse comune alla classe politica. Perché copriva immonde correità nella manomissione della Costituzione, perché autorizzava le prerogative di un golpista che stava imponendo una dittatura sostenuta dal voto e da una maggioranza legale ma non legittima, se le elezioni per vent’anni di erano svolte secondo una palese disparità, in condizioni di disuguaglianza dei contendenti. Perché era indecente che l’opposizione si animasse in nome della “decenza” quando aveva delegato alla magistratura la speranza di abbattere l’idolo, conducendo campagne elettorali nelle quali nemmeno si nominava l’antagonista, , quando nelle realtà locali, negli affari e nel malaffare, si costituivano alleanze opache, quando l’interesse personale di uno diventava interesse comune di un ceto, che ne aveva assunto abitudini, inclinazioni, perversioni e non solo quelle esssuali.
Avevamo ragione allora. Oggi la larga intesa è benedetta e sancita dal sigillo di una giustizia che si adegua ai tempi, che comprende con indulgenza e avalla con clemenza l’assoggettamento ai potenti, così come assolve il traffico di influenza, che ratifica le differenze manomettendo la bilancia e i pesi, così chi ha e può si acquisisce salvezza, rispetto, e, in un futuro prossimo, eleggibilità e grazia.
Così oggi e ancora di più che ai tempi di “senonoraquando”, il tycoon che vuole lasciare un’impronta con suo tallone di ferro, anzi d’oro, come le sue imprese più o meno legali, le sue attività più o meno criminose, conta, pesa, influenza e decide.
Oggi che è stato assolto e domani quando altri processi condizioneranno alleanze, concordia tra le parti, patti aziendali tra antichi avversari, diritti, leggi, libertà, rappresentanza e le nostre vite, compresa quella delle inascoltate cassandre.