Chi ha detto che le faccende domestiche siano un lavoro da donne? La Cassazione, partendo dal concetto di par condicio anche in fatto di lavori di casa, apre alla possibilità di danno patrimoniale per il casalingo che, causa infortunio, non può aiutare lei nel menage domestico.
(nonsprecare.it)
La sentenza della Cassazione sul riconoscimento dei danni ad un “casalingo” infortunato. “Non è certo madre natura a stabilire i criteri di riparto delle incombenze domestiche tra coniugi”, sentenzia la Cassazione nell’accogliere sul punto il ricorso di una coppia di Venezia, Cinzia B. e Augusto P., che nei due precedenti gradi di giudizio avevano chiesto il riconoscimento del danno patrimoniale per l’impossibilità di svolgere i lavori domestici. In particolare, come ricostruisce la sentenza 24471 della Terza sezione civile, al marito – che aveva riportato la frattura del bacino in seguito a un incidente stradale, erano stati negati i danni da perdita della capacità di lavoro anche domestico perché – a detta dei giudici di merito – le pulizie di casa “non rientrano nell’ordine naturale delle cose svolte da un uomo”. Alla moglie erano stati negati i danni perché non sarebbe stata in grado di dimostrare che il doversi occupare del marito infortunato e dei figli le impedisse “completamente” di occuparsi anche della casa.
I coniugi hanno fatto ricorso in Cassazione per ottenere i danni che spettano ad una casalinga infortunata. Piazza Cavour ha accolto entrambe le proteste e si è particolarmente arrabbiata sul fatto che siano stati negati i danni al marito che in seguito all’infortunio non aveva potuto aiutare la consorte nelle pulizie di casa. “La prima ragione di illogicità – scrive il relatore Marco Rossetti – è che non è certo madre natura a stabilire i criteri di riparto delle incombenze domestiche tra i coniugi. Tale riparto è ovviamente frutto di scelte soggettive e di costumi sociali, le une e gli altri nemmeno presi in considerazione dalla Corte d’appello”. Inoltre, fa notare la Cassazione, che ha disposto un appello bis per la coppia veneziana, “l’affermazione della Corte d’appello è contraria al fondamentale principio giuridico di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia” come sancito dall’art. 143 del codice civile. C’è un terzo motivo per cui la Corte d’appello, dice la Suprema Corte, va bacchettata. Vale a dire perché in base a quello che accade nella maggior parte dei casi “qualunque persona non può fare a meno di occuparsi di una certa aliquota del lavoro domestico: non fosse altro per quanto attiene le proprie personali esigenze”. La Cassazione ha inoltre accolto la richiesta della moglie dal momento che “la forzata rinuncia alle occupazioni domestiche, a causa di un infortunio, è un pregiudizio che può riverberare effetti tanto sul piano non patrimoniale quanto su quello patrimoniale (ad esempio – indica la Suprema Corte – essere costretti a pagare una persona cui affidare le incombenze un tempo disimpegnate in prima persona).
Senza dimenticare che “la perduta possibilità di svolgere lavoro domestico – annota piazza Cavour – costituisce un danno patrimoniale, pari al costo ideale di un collaboratore cui affidare le incombenze che la vittima non ha potuto sbrigare da sé. Sarà ora la Corte d’appello di Venezia a ripronunciarsi, stabilendo l’equo indennizzo per il marito che, infortunato, non ha potuto aiutare la moglie in casa e per la moglie che, dovendo accudire marito e prole, non si è occupata della casa. (ADNKRONOS)