Cassettista, cocenti delusioni ricevute negli ultimi dieci anni dall’investimento azionario
Se analizziamo i risultati degli ultimi dieci anni delle 40 azioni large cap che compongono l’indice FTSE MIB della Borsa italiana, che sono i titoli più comprati e tenuti dal cassettista, solo sei registrano un segno positivo, che salgono a dieci se si considera il rendimento totale, quello composto cioè dalla performance del titolo più i dividendi incassati e reinvestiti.
Chi avesse investito, per esempio, in un titolo come Monte dei Paschi si ritroverebbe con una perdita del 90% circa. Azioni come Finmeccanica e Telecom Italia (che è un titolo
ricco di dividendi) hanno lasciato sul terreno circa l’80%. Anche una azione più protetta come l’energetica A2A ha bruciato il 65% della sua capitalizzazione. E’ andata bene (si fa per dire) al titolo del lusso Bulgari, la cui performance è stata poco meno di zero.
E’ pur vero che il cassettista punta sui ricchi dividendi, ma se guardiamo l’indice di Piazza Affari, pur incassando cedole annue medie del 3 – 4%, rimane in territorio negativo: anche incassando e reinvestendo le cedole il deprezzamento è stato di circa il 40%, che diventa il 60% non incassando i dividendi. I dividendi non bastano e lo dimostrano i risultati di due grandi distributori di utili come Telecom Italia e Intesa Sanpaolo che hanno fatto un meno 60% a dieci anni considerando i dividendi stessi.
Il Btp decennale, nello stesso periodo, si è apprezzato del 13%, e, se teniamo conto delle cedole reinvestite, il rendimento è stato di circa il 70%. Tanta fatica per investire in azioni ed ecco i risultati.
Nei dieci anni, comunque, abbiamo detto che qualche eccezione c’è stata. E’ il caso di Saipem, la migliore di Piazza Affari, che ha ottenuto un bel 400% in dieci anni e un 800% in quindici anni.
Troppo poco, comunque, per continuare a dire che l’investimento in azioni premia nel lungo termine. E’ proprio finita l’era del cassettista.