Capita d’essere invitato con uno dei miei tentativi di re-visione del presente metropolitano (Steps in Vain) al NIFF (Naoussa International Film Festival), nella Grecia al confine con la Macedonia, non lontano da Salonicco e nel bel mezzo di aziende viticole e parchi naturali, a breve distanza da quella che era la scuola di Aristotele e dalla tomba di Alessandro Magno, in un’atmosfera in cui quella crisi tanto tangibile nella metropoli ateniese qui sembrava sopita sotto l’entusiasmo d’un evento importante per una piccola città che, nel corso dell’anno, non offre alcuna sala cinematografica ai suoi abitanti.
Nel profluvio festivaliero di corti più o meno degni di far riferimento ad una certa idea di cinema (chiedendomi, vista l’attuale rovinosa situazione finanziaria greca, se i selezionatori si siano accorti nello scegliere, tra gli altri, i corti italiani del progetto Per Fiducia, del fatto che sia stata una banca a produrli) m’imbatto in Casus Belli, fulminante lavoro di Yorgos Zoys, summa breve e piccolo saggio sul capitale, sulle sue assurde e pur ben ciecamente assimilate dinamiche. E sul gesto rivoluzionario di protesta. Una semplicissima linea continua di visione, da un capo all’altro del quadro o del mondo (dei consumi), una reazione a catena a partire da un carrello della spesa, il simbolo per eccellenza di una valutazione del grado di felicità (o più semplicemente del costo della vita) su mera base merceologica, simbolo massimo e deteriore del consumo.
Un unico movimento di macchina, ancora un travelling-carrello ricostruito in montaggio strizzando l’occhio a quel congegno perfetto che è l’Imagine di Rybzcynsky, passando in una serie di trapassi di location e dimensione (la prima persona della fila diventa l’ultima della fila successiva), dal supermarket alla chiesa alla posta alla discoteca, fino ad arrivare alla mensa per poveri. E ritorno. Come un butterfly effect che di colpo e rabbiosamente ci fa ravvedere sul nostro grado di responsabilità, sulla ricaduta delle nostre azioni sul prossimo.
A parole dello stesso autore, già assistente di Theo Angelopoulos in The Dust of Time, Casus Belli è una metafora della crisi e della spirale di violenza di questa apocalittica contingenza: «in ogni fila c’è gente affamata di qualcosa, ma nell’ultima, quella più lunga, si è in fila per la propria sopravvivenza, quello che manca è il cibo. E se è il cibo a mancare, inizia il disordine. E se un uomo crolla, siamo tutti a crollare». Così l’ultimo spinge chi lo segue in fila facendolo ricadere all’indietro e innescando un irresistibile ed irrefrenabile effetto domino. Ogni azione si ritorce su sé stessa, il passaggio dall’abbondanza alla penuria, lo si sta iniziando a comprendere, è più breve d’ogni immaginazione.
La scientificità del film a tesi (non a caso Zoys ha studiato matematica) qui è distillata con cura. Il fascino del 35mm si integra con l’ammonimento etico (quello di Levinas?) e con la condizione tipicamente urbana dello stare in coda, aspettando di pagare per riscuotere o di riscuotere per pagare (intrattenimento, religione, arte, etc), agognando con impazienza un qualsiasi approdo.
La catena della colpa è una combinazione algebrica di forze in ebollizione e pronte ad esplodere.
Salvatore Insana
Scritto da Salvatore Insana il ott 24 2011. Registrato sotto RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA, UNDERGROUND. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione