Che cosa sta accadendo in Catalogna? Davvero diventerà uno stato indipendente? Sempre più gente, informata dai media italiani, mi fa questa domanda.
Nei miei quindici anni di vita barcellonese ho visto la società catalana radicalizzarsi in modo inimmaginabile. Ai balconi delle case oggi sventolano ovunque bandiere catalane o spagnole, a seconda dell’origine delle famiglie che vi abitano, gli ispettori controllano con severità l’uso della lingua catalana nelle scuole o nelle vetrine dei negozi (sono previste multe per chi espone i cartelli non in catalano) e i discorsi della gente sono ormai monotematici: o si è pro o si è contro.
Gli indipendentisti vanno in piazza spesso e volentieri, l’ultima volta il 30 settembre, per protestare contro la sospensione da parte del Tribunale Costituzionale del referendum del 9 novembre, indetto dal governo catalano guidato da Artur Mas, leader del partito Convergència i Unió (CIU).
La sospensione è cautelare, Il Tribunale ha infatti accolto i ricorsi del capo del governo spagnolo Mariano Rajoy e si riserva di decidere nelle prossime settimane sulla costituzionalità del referendum. Prima della sospensione l’apparato elettorale era già stato messo in marcia e Mas, dopo le prime dichiarazioni di sfida («I catalani andranno a votare lo stesso il 9 novembre») sembra fare marcia indietro. Ieri, infatti, il portavoce del Govern catalano, Francesc Homs ha detto che se entro il 15 ottobre non ci sarà una decisione definitiva del Tribunale Costituzionale (e lo stesso Tribunale ha già riconosciuto che non ci sono i tempi tecnici per arrivare a una sentenza), il 9 novembre non ci potrà essere referendum. Parole che hanno irritato le forze politiche secessioniste alleate di Mas, che sa di trovarsi in una posizione scomoda, fra l’incudine e il martello. Le dichiarazioni si susseguono e capire cosa accadrà è davvero un rebus.
Questa la situazione politica, ma la gente della strada cosa pensa? Se il referendum si facesse, vincerebbe il sì?
Gente che cerca di tenersi stretto il lavoro che ha dopo le batoste economiche di questi anni, e che intuisce che una Catalogna indipendente rischierebbe di trovarsi isolata e ancora più povera (l’agenzia di rating Fitch ha messo la Catalogna in rating watch negativo affermando che in caso di secessione il suo debito passerebbe ad essere considerato spazzatura).
Il clima di incertezza ha fatto sì che diversi imprenditori stranieri abbiano già spostato le loro sedi a Madrid e altri stiano pensando di farlo. Le multinazionali rimandano gli investimenti in attesa di tempi migliori e le banche tacciono le loro intenzioni, inquietando sempre di più i mercati.
Intanto, i movimenti antiseparatisti promuovono campagne di boicottaggio contro i prodotti catalani e persino a scuola i bambini si scontrano verbalmente sulla questione, ripetendo in classe quello che hanno ascoltato in casa dai genitori. L’aggressività verbale ha raggiunto livelli inquietanti e c’è chi vede con preoccupazione l’avvicinarsi della data proposta per il referendum ora sospeso: «Il 9 novembre me ne starò fuori città, non si sa mai» ho sentito dire da più fonti.
Da residente con due figli nati in questa terra che amo, mi auguro che vinca il buon senso. Quella ragionevolezza che fa stare insieme le persone e le induce a lavorare per gli stessi obiettivi di pace e benessere.
I nemici che oggi minacciano davvero il futuro della nostra società, di tutte le società, sono altri e ben più insidiosi. Cambiamenti climatici, carestie, guerre, fanatismi religiosi e politici, sono i problemi che ogni governo dovrebbe affrontare senza distrazioni territoriali e con una politica onesta. Altrimenti torniamo alla città stato, o forse al quartiere-stato, vedi mai che alle zone “bene” tocchi mischiarsi con quelle più modeste… Ma il detto non era “l’unione fa la forza?”.
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(Foto di copertina: www.abc.es)